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Dante Alighieri - Paradiso (Italian)Dante Alighieri - Paradiso (Italian)
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ma li altri son mensurati da questo, come diece da mezzo e da quinto;  e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto.  Oh cupidigia che i mortali affonde sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde!  Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continua converte in bozzacchioni le sosine vere.  Fede e innocenza son reperte solo ne` parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte.  Tale, balbuziendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna;  e tal, balbuziendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disia poi di vederla sepolta.  Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch`apporta mane e lascia sera.  Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che `n terra non è chi governi; onde svia l`umana famiglia.  Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch`è giù negletta, raggeran questi cerchi superni,  che la fortuna che tanto s`aspetta, le poppe volgerà u` son le prore, che la classe correrà diretta;  e vero frutto verrà dopo `l fiore». Paradiso: Canto XXVIII  Poscia che `ncontro a la vita presente d`i miseri mortali aperse `l vero quella che `mparadisa la mia mente,  come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n`alluma retro, prima che l`abbia in vista o in pensiero,  e rivolge per veder se `l vetro li dice il vero, e vede ch`el s`accorda con esso come nota con suo metro;  così la mia memoria si ricorda ch`io feci riguardando ne` belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda.  E com`io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s`adocchi,  un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che `l viso ch`elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume;  e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collòca.  Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che `l dipigne quando `l vapor che `l porta più è spesso,  distante intorno al punto un cerchio d`igne si girava ratto, ch`avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne;  e questo era d`un altro circumcinto, e quel dal terzo, e `l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.  Sopra seguiva il settimo sparto già di larghezza, che `l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto.  Così l`ottavo e `l nono; e chiascheduno più tardo si movea, secondo ch`era in numero distante più da l`uno;  e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s`invera.  La donna mia, che mi vedea in cura forte sospeso, disse: «Da quel punto depende il cielo e tutta la natura.  Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che `l suo muovere è tosto per l`affocato amore ond`elli è punto».  E io a lei: «Se `l mondo fosse posto con l`ordine ch`io veggio in quelle rote, sazio m`avrebbe ciò che m`è proposto;  ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant`elle son dal centro più remote.  Onde, se `l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo che solo amore e luce ha per confine,  udir convienmi ancor come l`essemplo e l`essemplare non vanno d`un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo».  «Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficienti, non è maraviglia: tanto, per non tentare, è fatto sodo!».  Così la donna mia; poi disse: «Piglia quel ch`io ti dicerò, se vuo` saziarti; e intorno da esso t`assottiglia.  Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e `l men de la virtute che si distende per tutte lor parti.  Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s`elli ha le parti igualmente compiute.  Dunque costui che tutto quanto rape l`altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape:  per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza de le sustanze che t`appaion tonde,  tu vederai mirabil consequenza di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a sua intelligenza».  Come rimane splendido e sereno l`emisperio de l`aere, quando soffia Borea da quella guancia ond`è più leno,  per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, che `l ciel ne ride con le bellezze d`ogne sua paroffia;  così fec`io, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide.  E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro.  L`incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che `l numero loro più che `l doppiar de li scacchi s`inmilla.  Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne` quai sempre fuoro.  E quella che vedea i pensier dubi ne la mia mente, disse: «I cerchi primi t`hanno mostrato Serafi e Cherubi.  Così veloci seguono i suoi vimi, per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi.  Quelli altri amori che `ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che `l primo ternaro terminonno;  e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogne intelletto.  Quinci si può veder come si fonda l`essere beato ne l`atto che vede, non in quel ch`ama, che poscia seconda;  e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede.  L`altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Ariete non dispoglia,  perpetualemente `Osanna` sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s`interna.  In essa gerarcia son l`altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l`ordine terzo di Podestadi èe.  Poscia ne` due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l`ultimo è tutto d`Angelici ludi.  Questi ordini di tutti s`ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano.  E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com`io.  Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, tosto come li occhi aperse in questo ciel, di medesmo rise.  E se tanto secreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch`ammiri; ché chi `l vide qua gliel discoperse  con altro assai del ver di questi giri». Paradiso: Canto XXIX  Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l`orizzonte insieme zona,  quant`è dal punto che `l cenìt inlibra infin che l`uno e l`altro da quel cinto, cambiando l`emisperio, si dilibra,  tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Beatrice, riguardando fiso nel punto che m`avea vinto.  Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch`io l`ho visto `ve s`appunta ogne ubi e ogne quando.  Non per aver a di bene acquisto, ch`esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto",  in sua etternità di tempo fore, fuor d`ogne altro comprender, come i piacque, s`aperse in nuovi amor l`etterno amore.  Né prima quasi torpente si giacque; ché prima poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest`acque.  Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d`arco tricordo tre saette.  E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire a l`esser tutto non è intervallo,  così `l triforme effetto del suo sire ne l`esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzione in essordire.  Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze; e quelle furon cima nel mondo in che puro atto fu produtto;  pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime, che già mai non si divima.  Ieronimo vi scrisse lungo tratto di secoli de li angeli creati anzi che l`altro mondo fosse fatto;  ma questo vero è scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo, e tu te n`avvedrai se bene agguati;  e anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che ` motori sanza sua perfezion fosser cotanto.  Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: che spenti nel tuo disio già son tre ardori.  Né giugneriesi, numerando, al venti tosto, come de li angeli parte turbò il suggetto d`i vostri alementi.  L`altra rimase, e cominciò quest`arte che tu discerni, con tanto diletto, che mai da circuir non si diparte.  Principio del cader fu il maladetto superbir di colui che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto.  Quelli che vedi qui furon modesti a riconoscer da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti:  per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto, si c`hanno ferma e piena volontate;  e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia è meritorio secondo che l`affetto l`è aperto.  Omai dintorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanz`altro aiutorio.  Ma perché `n terra per le vostre scole si legge che l`angelica natura è tal, che `ntende e si ricorda e vole,  ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che giù si confonde, equivocando in fatta lettura.  Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde:  però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso;  sì che giù, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero; ma ne l`uno è più colpa e più vergogna.  Voi non andate giù per un sentiero filosofando: tanto vi trasporta l`amor de l`apparenza e `l suo pensiero!  E ancor questo qua si comporta con men disdegno che quando è posposta la divina Scrittura o quando è torta.  Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo e quanto piace chi umilmente con essa s`accosta.  Per apparer ciascun s`ingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse da` predicanti e `l Vangelio si tace.  Un dice che la luna si ritorse ne la passion di Cristo e s`interpuose, per che `l lume del sol giù non si porse;  e mente, ché la luce si nascose da sé: però a li Spani e a l`Indi come a` Giudei tale eclissi rispuose.  Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi quante fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi;  sì che le pecorelle, che non sanno, tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno.  Non disse Cristo al suo primo convento: `Andate, e predicate al mondo ciance`; ma diede lor verace fondamento;  e quel tanto sonò ne le sue guance, ch`a pugnar per accender la fede de l`Evangelio fero scudo e lance.  Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e più non si richiede.  Ma tale uccel nel becchetto s`annida, che se `l vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di ch`el si confida;  per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d`alcun testimonio, ad ogne promession si correrebbe.  Di questo ingrassa il porco sant`Antonio, e altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta sanza conio.  Ma perché siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada, che la via col tempo si raccorci.  Questa natura oltre s`ingrada in numero, che mai non fu loquela concetto mortal che tanto vada;  e se tu guardi quel che si revela per Daniel, vedrai che `n sue migliaia determinato numero si cela.  La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son li splendori a chi s`appaia.  Onde, però che a l`atto che concepe segue l`affetto, d`amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe.  Vedi l`eccelso omai e la larghezza de l`etterno valor, poscia che tanti speculi fatti s`ha in che si spezza,  uno manendo in come davanti». Paradiso: Canto XXX  Forse semilia miglia di lontano ci ferve l`ora sesta, e questo mondo china già l`ombra quasi al letto piano,  quando `l mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, ch`alcuna stella perde il parere infino a questo fondo;  e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, così `l ciel si chiude di vista in vista infino a la più bella.  Non altrimenti il triunfo che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch`elli `nchiude,  a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a Beatrice nulla vedere e amor mi costrinse.  Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice.  La bellezza ch`io vidi si trasmoda non pur di da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda.  Da questo passo vinto mi concedo più che già mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo:  ché, come sole in viso che più trema, così lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema.  Dal primo giorno ch`i` vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m`è il seguire al mio cantar preciso;  ma or convien che mio seguir desista più dietro a sua bellezza, poetando, come a l`ultimo suo ciascuno artista.  Cotal qual io lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l`ardua sua matera terminando,  con atto e voce di spedito duce ricominciò: «Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch`è pura luce:  luce intellettual, piena d`amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore.  Qui vederai l`una e l`altra milizia di paradiso, e l`una in quelli aspetti che tu vedrai a l`ultima giustizia».  Come sùbito lampo che discetti li spiriti visivi, che priva da l`atto l`occhio di più forti obietti,  così mi circunfulse luce viva, e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgor, che nulla m`appariva.  «Sempre l`amor che queta questo cielo accoglie in con fatta salute, per far disposto a sua fiamma il candelo».  Non fur più tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch`io compresi me sormontar di sopr`a mia virtute;  e di novella vista mi raccesi tale, che nulla luce è tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi;  e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera.  Di tal fiumana uscian faville vive, e d`ogne parte si mettìen ne` fiori, quasi rubin che oro circunscrive;  poi, come inebriate da li odori, riprofondavan nel miro gurge; e s`una intrava, un`altra n`uscia fori.  «L`alto disio che mo t`infiamma e urge, d`aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge;  ma di quest`acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si sazi»: così mi disse il sol de li occhi miei.  Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi ch`entrano ed escono e `l rider de l`erbe son di lor vero umbriferi prefazi.  Non che da sian queste cose acerbe; ma è difetto da la parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe».  Non è fantin che sùbito rua col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l`usanza sua,  come fec`io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a l`onda che si deriva perché vi s`immegli;  e come di lei bevve la gronda de le palpebre mie, così mi parve di sua lunghezza divenuta tonda.  Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve,  così mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, ch`io vidi ambo le corti del ciel manifeste.  O isplendor di Dio, per cu` io vidi l`alto triunfo del regno verace, dammi virtù a dir com`io il vidi!  Lume è che visibile face lo creatore a quella creatura che solo in lui vedere ha la sua pace.  E` si distende in circular figura, in tanto che la sua circunferenza sarebbe al sol troppo larga cintura.  Fassi di raggio tutta sua parvenza reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza.  E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi addorno, quando è nel verde e ne` fioretti opimo,  sì, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in più di mille soglie quanto di noi fatto ha ritorno.  E se l`infimo grado in raccoglie grande lume, quanta è la larghezza di questa rosa ne l`estreme foglie!  La vista mia ne l`ampio e ne l`altezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e `l quale di quella allegrezza.  Presso e lontano, lì, pon leva: ché dove Dio sanza mezzo governa, la legge natural nulla rileva.  Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna,  qual è colui che tace e dicer vole, mi trasse Beatrice, e disse: «Mira quanto è `l convento de le bianche stole!  Vedi nostra città quant`ella gira; vedi li nostri scanni ripieni, che poca gente più ci si disira.  E `n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che già v`è posta, prima che tu a queste nozze ceni,  sederà l`alma, che fia giù agosta, de l`alto Arrigo, ch`a drizzare Italia verrà in prima ch`ella sia disposta.  La cieca cupidigia che v`ammalia simili fatti v`ha al fantolino che muor per fame e caccia via la balia.  E fia prefetto nel foro divino allora tal, che palese e coverto non anderà con lui per un cammino.  Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo officio; ch`el sarà detruso dove Simon mago è per suo merto,  e farà quel d`Alagna intrar più giuso». Paradiso: Canto XXXI  In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa;  ma l`altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la `nnamora e la bontà che la fece cotanta,  sì come schiera d`ape, che s`infiora una fiata e una si ritorna dove suo laboro s`insapora,  nel gran fior discendeva che s`addorna di tante foglie, e quindi risaliva dove `l suo amor sempre soggiorna.  Le facce tutte avean di fiamma viva, e l`ali d`oro, e l`altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva.  Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l`ardore ch`elli acquistavan ventilando il fianco.  Né l`interporsi tra `l disopra e `l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore:  ché la luce divina è penetrante per l`universo secondo ch`è degno, che nulla le puote essere ostante.  Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno.  O trina luce, che `n unica stella scintillando a lor vista, li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella!  Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d`Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond`ella è vaga,  veggendo Roma e l`ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra;  io, che al divino da l`umano, a l`etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano  di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e `l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto.  E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com`ello stea,  su per la viva luce passeggiando, menava io li occhi per li gradi, mo sù, mo giù e mo recirculando.  Vedea visi a carità suadi, d`altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi.  La forma general di paradiso già tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso;  e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa.  Uno intendea, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose.  Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene.  E «Ov`è ella?», sùbito diss`io. Ond`elli: «A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio;  e se riguardi nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro».  Sanza risponder, li occhi levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da li etterni rai.  Da quella region che più tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s`abbandona,  quanto da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, ché sua effige non discendea a me per mezzo mista.  «O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige,  di tante cose quant`i` ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute.  Tu m`hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tutt`i modi che di ciò fare avei la potestate.  La tua magnificenza in me custodi, che l`anima mia, che fatt`hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi».  Così orai; e quella, lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò a l`etterna fontana.  E `l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi,  vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t`acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino.  E la regina del cielo, ond`io ardo tutto d`amor, ne farà ogne grazia, però ch`i` sono il suo fedel Bernardo».  Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l`antica fame non sen sazia,  ma dice nel pensier, fin che si mostra: `Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu fatta la sembianza vostra?`;  tal era io mirando la vivace carità di colui che `n questo mondo, contemplando, gustò di quella pace.  «Figliuol di grazia, quest`esser giocondo», cominciò elli, «non ti sarà noto, tenendo li occhi pur qua giù al fondo;  ma guarda i cerchi infino al più remoto, tanto che veggi seder la regina cui questo regno è suddito e devoto».  Io levai li occhi; e come da mattina la parte oriental de l`orizzonte soverchia quella dove `l sol declina,  così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l`altra fronte.  E come quivi ove s`aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s`infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo,  così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s`avvivava, e d`ogne parte per igual modo allentava la fiamma;  e a quel mezzo, con le penne sparte, vid`io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d`arte.  Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi;  e s`io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia.  Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei,  che ` miei di rimirar più ardenti. Paradiso: Canto XXXII  Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante:  «La piaga che Maria richiuse e unse, quella ch`è tanto bella da` suoi piedi è colei che l`aperse e che la punse.  Ne l`ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Beatrice, come tu vedi.  Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse `Miserere mei`,  puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com`io ch`a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia.  E dal settimo grado in giù, come infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome;  perché, secondo lo sguardo che fée la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee.  Da questa parte onde `l fiore è maturo di tutte le sue foglie, sono assisi quei che credettero in Cristo venturo;  da l`altra parte onde sono intercisi di vòti i semicirculi, si stanno quei ch`a Cristo venuto ebber li visi.  E come quinci il glorioso scanno de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno,  così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo `l diserto e `l martiro sofferse, e poi l`inferno da due anni;  e sotto lui così cerner sortiro Francesco, Benedetto e Augustino e altri fin qua giù di giro in giro.  Or mira l`alto proveder divino: ché l`uno e l`altro aspetto de la fede igualmente empierà questo giardino.  E sappi che dal grado in giù che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede,  ma per l`altrui, con certe condizioni: ché tutti questi son spiriti ascolti prima ch`avesser vere elezioni.  Ben te ne puoi accorger per li volti e anche per le voci puerili, se tu li guardi bene e se li ascolti.  Or dubbi tu e dubitando sili; ma io discioglierò `l forte legame in che ti stringon li pensier sottili.  Dentro a l`ampiezza di questo reame casual punto non puote aver sito, se non come tristizia o sete o fame:  ché per etterna legge è stabilito quantunque vedi, che giustamente ci si risponde da l`anello al dito;  e però questa festinata gente a vera vita non è sine causa intra qui più e meno eccellente.  Lo rege per cui questo regno pausa in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa,  le menti tutte nel suo lieto aspetto creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l`effetto.  E ciò espresso e chiaro vi si nota ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l`ira commota.  Però, secondo il color d`i capelli, di cotal grazia l`altissimo lume degnamente convien che s`incappelli.  Dunque, sanza mercé di lor costume, locati son per gradi differenti, sol differendo nel primiero acume.  Bastavasi ne` secoli recenti con l`innocenza, per aver salute, solamente la fede d`i parenti;  poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a l`innocenti penne per circuncidere acquistar virtute;  ma poi che `l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza giù si ritenne.  Riguarda omai ne la faccia che a Cristo più si somiglia, ché la sua chiarezza sola ti può disporre a veder Cristo».  Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza,  che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, mi mostrò di Dio tanto sembiante;  e quello amor che primo discese, cantando `Ave, Maria, gratia plena`, dinanzi a lei le sue ali distese.  Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, ch`ogne vista sen più serena.  «O santo padre, che per me comporte l`esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte,  qual è quell`angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato che par di foco?».  Così ricorsi ancora a la dottrina di colui ch`abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina.  Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria quant`esser puote in angelo e in alma, tutta è in lui; e volem che sia,  perch`elli è quelli che portò la palma giuso a Maria, quando `l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma.  Ma vieni omai con li occhi com`io andrò parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio.  Quei due che seggon più felici per esser propinquissimi ad Augusta, son d`esta rosa quasi due radici:  colui che da sinistra le s`aggiusta è il padre per lo cui ardito gusto l`umana specie tanto amaro gusta;  dal destro vedi quel padre vetusto di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi raccomandò di questo fior venusto.  E quei che vide tutti i tempi gravi, pria che morisse, de la bella sposa che s`acquistò con la lancia e coi clavi,  siede lungh`esso, e lungo l`altro posa quel duca sotto cui visse di manna la gente ingrata, mobile e retrosa.  Di contr`a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia, che non move occhio per cantare osanna;  e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a rovinar, le ciglia.  Ma perché `l tempo fugge che t`assonna, qui farem punto, come buon sartore che com`elli ha del panno fa la gonna;  e drizzeremo li occhi al primo amore, che, guardando verso lui, penètri quant`è possibil per lo suo fulgore.  Veramente, ne forse tu t`arretri movendo l`ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s`impetri  grazia da quella che puote aiutarti; e tu mi seguirai con l`affezione, che dal dicer mio lo cor non parti».  E cominciò questa santa orazione: Paradiso: Canto XXXIII  «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d`etterno consiglio,  tu se` colei che l`umana natura nobilitasti sì, che `l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.  Nel ventre tuo si raccese l`amore, per lo cui caldo ne l`etterna pace così è germinato questo fiore.  Qui se` a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ` mortali, se` di speranza fontana vivace.  Donna, se` tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz`ali.  La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre.  In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s`aduna quantunque in creatura è di bontate.  Or questi, che da l`infima lacuna de l`universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una,  supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l`ultima salute.  E io, che mai per mio veder non arsi più ch`i` fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,  perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co` prieghi tuoi, che `l sommo piacer li si dispieghi.  Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.  Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!».  Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l`orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati;  indi a l`etterno lume s`addrizzaro, nel qual non si dee creder che s`invii per creatura l`occhio tanto chiaro.  E io ch`al fine di tutt`i disii appropinquava, com`io dovea, l`ardor del desiderio in me finii.  Bernardo m`accennava, e sorridea, perch`io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea:  ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l`alta luce che da è vera.  Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che `l parlar mostra, ch`a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio.  Qual è colui che sognando vede, che dopo `l sogno la passione impressa rimane, e l`altro a la mente non riede,  cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa.  Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla.  O somma luce che tanto ti levi da` concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi,  e fa la lingua mia tanto possente, ch`una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente;  ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria.  Io credo, per l`acume ch`io soffersi del vivo raggio, ch`i` sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi.  E` mi ricorda ch`io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch`i` giunsi l`aspetto mio col valore infinito.  Oh abbondante grazia ond`io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi!  Nel suo profondo vidi che s`interna legato con amore in un volume, ciò che per l`universo si squaderna:  sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch`i` dico è un semplice lume.  La forma universal di questo nodo credo ch`i` vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch`i` godo.  Un punto solo m`è maggior letargo che venticinque secoli a la `mpresa, che Nettuno ammirar l`ombra d`Argo.  Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa.  A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta;  però che `l ben, ch`è del volere obietto, tutto s`accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch`è perfetto.  Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch`io ricordo, che d`un fante che bagni ancor la lingua a la mammella.  Non perché più ch`un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch`io mirava, che tal è sempre qual s`era davante;  ma per la vista che s`avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom`io, a me si travagliava.  Ne la profonda e chiara sussistenza de l`alto lume parvermi tre giri di tre colori e d`una contenenza;  e l`un da l`altro come iri da iri parea reflesso, e `l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri.  Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch`i` vidi, è tanto, che non basta a dicer `poco`.  O luce etterna che sola in te sidi, sola t`intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!  Quella circulazion che concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta,  dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che `l mio viso in lei tutto era messo.  Qual è `l geomètra che tutto s`affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond`elli indige,  tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l`imago al cerchio e come vi s`indova;  ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne.  A l`alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e `l velle, come rota ch`igualmente è mossa,  l`amor che move il sole e l`altre stelle.
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