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Dante Alighieri - Paradiso (Italian)Dante Alighieri - Paradiso (Italian)
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e fa di quelli specchi a la figura che `n questo specchio ti sarà parvente».  Qual savesse qual era la pastura del viso mio ne l`aspetto beato quand`io mi trasmutai ad altra cura,  conoscerebbe quanto m`era a grato ubidire a la mia celeste scorta, contrapesando l`un con l`altro lato.  Dentro al cristallo che `l vocabol porta, cerchiando il mondo, del suo caro duce sotto cui giacque ogne malizia morta,  di color d`oro in che raggio traluce vid`io uno scaleo eretto in suso tanto, che nol seguiva la mia luce.  Vidi anche per li gradi scender giuso tanti splendor, ch`io pensai ch`ogne lume che par nel ciel, quindi fosse diffuso.  E come, per lo natural costume, le pole insieme, al cominciar del giorno, si movono a scaldar le fredde piume;  poi altre vanno via sanza ritorno, altre rivolgon onde son mosse, e altre roteando fan soggiorno;  tal modo parve me che quivi fosse in quello sfavillar che `nsieme venne, come in certo grado si percosse.  E quel che presso più ci si ritenne, si chiaro, ch`io dicea pensando: `Io veggio ben l`amor che tu m`accenne.  Ma quella ond`io aspetto il come e `l quando del dire e del tacer, si sta; ond`io, contra `l disio, fo ben ch`io non dimando`.  Per ch`ella, che vedea il tacer mio nel veder di colui che tutto vede, mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».  E io incominciai: «La mia mercede non mi fa degno de la tua risposta; ma per colei che `l chieder mi concede,  vita beata che ti stai nascosta dentro a la tua letizia, fammi nota la cagion che presso mi t`ha posta;  e di` perché si tace in questa rota la dolce sinfonia di paradiso, che giù per l`altre suona divota».  «Tu hai l`udir mortal come il viso», rispuose a me; «onde qui non si canta per quel che Beatrice non ha riso.  Giù per li gradi de la scala santa discesi tanto sol per farti festa col dire e con la luce che mi ammanta;  né più amor mi fece esser più presta; ché più e tanto amor quinci ferve, come il fiammeggiar ti manifesta.  Ma l`alta carità, che ci fa serve pronte al consiglio che `l mondo governa, sorteggia qui come tu osserve».  «Io veggio ben», diss`io, «sacra lucerna, come libero amore in questa corte basta a seguir la provedenza etterna;  ma questo è quel ch`a cerner mi par forte, perché predestinata fosti sola a questo officio tra le tue consorte».  Né venni prima a l`ultima parola, che del suo mezzo fece il lume centro, girando come veloce mola;  poi rispuose l`amor che v`era dentro: «Luce divina sopra me s`appunta, penetrando per questa in ch`io m`inventro,  la cui virtù, col mio veder congiunta, mi leva sopra me tanto, ch`i` veggio la somma essenza de la quale è munta.  Quinci vien l`allegrezza ond`io fiammeggio; per ch`a la vista mia, quant`ella è chiara, la chiarità de la fiamma pareggio.  Ma quell`alma nel ciel che più si schiara, quel serafin che `n Dio più l`occhio ha fisso, a la dimanda tua non satisfara,  però che s`innoltra ne lo abisso de l`etterno statuto quel che chiedi, che da ogne creata vista è scisso.  E al mondo mortal, quando tu riedi, questo rapporta, che non presumma a tanto segno più mover li piedi.  La mente, che qui luce, in terra fumma; onde riguarda come può giùe quel che non pote perché `l ciel l`assumma».  Sì mi prescrisser le parole sue, ch`io lasciai la quistione e mi ritrassi a dimandarla umilmente chi fue.  «Tra ` due liti d`Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria, tanto che ` troni assai suonan più bassi,  e fanno un gibbo che si chiama Catria, di sotto al quale è consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria».  Così ricominciommi il terzo sermo; e poi, continuando, disse: «Quivi al servigio di Dio mi fe` fermo,  che pur con cibi di liquor d`ulivi lievemente passava caldi e geli, contento ne` pensier contemplativi.  Render solea quel chiostro a questi cieli fertilemente; e ora è fatto vano, che tosto convien che si riveli.  In quel loco fu` io Pietro Damiano, e Pietro Peccator fu` ne la casa di Nostra Donna in sul lito adriano.  Poca vita mortal m`era rimasa, quando fui chiesto e tratto a quel cappello, che pur di male in peggio si travasa.  Venne Cefàs e venne il gran vasello de lo Spirito Santo, magri e scalzi, prendendo il cibo da qualunque ostello.  Or voglion quinci e quindi chi rincalzi li moderni pastori e chi li meni, tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.  Cuopron d`i manti loro i palafreni, che due bestie van sott`una pelle: oh pazienza che tanto sostieni!».  A questa voce vid`io più fiammelle di grado in grado scendere e girarsi, e ogne giro le facea più belle.  Dintorno a questa vennero e fermarsi, e fero un grido di alto suono, che non potrebbe qui assomigliarsi;  né io lo `ntesi, mi vinse il tuono. Paradiso: Canto XXII  Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida;  e quella, come madre che soccorre sùbito al figlio palido e anelo con la sua voce, che `l suol ben disporre,  mi disse: «Non sai tu che tu se` in cielo? e non sai tu che `l cielo è tutto santo, e ciò che ci si fa vien da buon zelo?  Come t`avrebbe trasmutato il canto, e io ridendo, mo pensar lo puoi, poscia che `l grido t`ha mosso cotanto;  nel qual, se `nteso avessi i prieghi suoi, già ti sarebbe nota la vendetta che tu vedrai innanzi che tu muoi.  La spada di qua non taglia in fretta tardo, ma` ch`al parer di colui che disiando o temendo l`aspetta.  Ma rivolgiti omai inverso altrui; ch`assai illustri spiriti vedrai, se com`io dico l`aspetto redui».  Come a lei piacque, li occhi ritornai, e vidi cento sperule che `nsieme più s`abbellivan con mutui rai.  Io stava come quei che `n repreme la punta del disio, e non s`attenta di domandar, del troppo si teme;  e la maggiore e la più luculenta di quelle margherite innanzi fessi, per far di la mia voglia contenta.  Poi dentro a lei udi` : «Se tu vedessi com`io la carità che tra noi arde, li tuoi concetti sarebbero espressi.  Ma perché tu, aspettando, non tarde a l`alto fine, io ti farò risposta pur al pensier, da che ti riguarde.  Quel monte a cui Cassino è ne la costa fu frequentato già in su la cima da la gente ingannata e mal disposta;  e quel son io che vi portai prima lo nome di colui che `n terra addusse la verità che tanto ci soblima;  e tanta grazia sopra me relusse, ch`io ritrassi le ville circunstanti da l`empio cólto che `l mondo sedusse.  Questi altri fuochi tutti contemplanti uomini fuoro, accesi di quel caldo che fa nascere i fiori e ` frutti santi.  Qui è Maccario, qui è Romoaldo, qui son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo».  E io a lui: «L`affetto che dimostri meco parlando, e la buona sembianza ch`io veggio e noto in tutti li ardor vostri,  così m`ha dilatata mia fidanza, come `l sol fa la rosa quando aperta tanto divien quant`ell`ha di possanza.  Però ti priego, e tu, padre, m`accerta s`io posso prender tanta grazia, ch`io ti veggia con imagine scoverta».  Ond`elli: «Frate, il tuo alto disio s`adempierà in su l`ultima spera, ove s`adempion tutti li altri e `l mio.  Ivi è perfetta, matura e intera ciascuna disianza; in quella sola è ogne parte ove sempr`era,  perché non è in loco e non s`impola; e nostra scala infino ad essa varca, onde così dal viso ti s`invola.  Infin la vide il patriarca Iacobbe porger la superna parte, quando li apparve d`angeli carca.  Ma, per salirla, mo nessun diparte da terra i piedi, e la regola mia rimasa è per danno de le carte.  Le mura che solieno esser badia fatte sono spelonche, e le cocolle sacca son piene di farina ria.  Ma grave usura tanto non si tolle contra `l piacer di Dio, quanto quel frutto che fa il cor de` monaci folle;  ché quantunque la Chiesa guarda, tutto è de la gente che per Dio dimanda; non di parenti d`altro più brutto.  La carne d`i mortali è tanto blanda, che giù non basta buon cominciamento dal nascer de la quercia al far la ghianda.  Pier cominciò sanz`oro e sanz`argento, e io con orazione e con digiuno, e Francesco umilmente il suo convento;  e se guardi `l principio di ciascuno, poscia riguardi dov`è trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno.  Veramente Iordan vòlto retrorso più fu, e `l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui `l soccorso».  Così mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e `l collegio si strinse; poi, come turbo, in tutto s`avvolse.  La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, sua virtù la mia natura vinse;  né mai qua giù dove si monta e cala naturalmente, fu ratto moto ch`agguagliar si potesse a la mia ala.  S`io torni mai, lettore, a quel divoto triunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e `l petto mi percuoto,  tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant`io vidi `l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso.  O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno,  con voi nasceva e s`ascondeva vosco quelli ch`è padre d`ogne mortal vita, quand`io senti` di prima l`aere tosco;  e poi, quando mi fu grazia largita d`entrar ne l`alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita.  A voi divotamente ora sospira l`anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a la tira.  «Tu se` presso a l`ultima salute», cominciò Beatrice, «che tu dei aver le luci tue chiare e acute;  e però, prima che tu più t`inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei;  sì che `l tuo cor, quantunque può, giocondo s`appresenti a la turba triunfante che lieta vien per questo etera tondo».  Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch`io sorrisi del suo vil sembiante;  e quel consiglio per migliore approbo che l`ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo.  Vidi la figlia di Latona incensa sanza quell`ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa.  L`aspetto del tuo nato, Iperione, quivi sostenni, e vidi com`si move circa e vicino a lui Maia e Dione.  Quindi m`apparve il temperar di Giove tra `l padre e `l figlio: e quindi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove;  e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo.  L`aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom`io con li etterni Gemelli, tutta m`apparve da` colli a le foci;  poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. Paradiso: Canto XXIII  Come l`augello, intra l`amate fronde, posato al nido de` suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde,  che, per veder li aspetti disiati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati,  previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l`alba nasca;  così la donna mia stava eretta e attenta, rivolta inver` la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta:  sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disiando altro vorria, e sperando s`appaga.  Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando;  e Beatrice disse: «Ecco le schiere del triunfo di Cristo e tutto `l frutto ricolto del girar di queste spere!».  Pariemi che `l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia pieni, che passarmen convien sanza costrutto.  Quale ne` plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni,  vid`i` sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l`accendea, come fa `l nostro le viste superne;  e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea.  Oh Beatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: «Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara.  Quivi è la sapienza e la possanza ch`aprì le strade tra `l cielo e la terra, onde fu già lunga disianza».  Come foco di nube si diserra per dilatarsi che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s`atterra,  la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape.  «Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente se` fatto a sostener lo riso mio».  Io era come quei che si risente di visione oblita e che s`ingegna indarno di ridurlasi a la mente,  quand`io udi` questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che `l preterito rassegna.  Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnia con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue,  per aiutarmi, al millesmo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero;  e così, figurando il paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso.  Ma chi pensasse il ponderoso tema e l`omero mortal che se ne carca, nol biasmerebbe se sott`esso trema:  non è pareggio da picciola barca quel che fendendo va l`ardita prora, da nocchier ch`a medesmo parca.  «Perché la faccia mia t`innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo s`infiora?  Quivi è la rosa in che `l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino».  Così Beatrice; e io, che a` suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de` debili cigli.  Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, già prato di fiori vider, coverti d`ombra, li occhi miei;  vid`io così più turbe di splendori, folgorate di da raggi ardenti, sanza veder principio di folgóri.  O benigna vertù che li `mprenti, t`essaltasti, per largirmi loco a li occhi che non t`eran possenti.  Il nome del bel fior ch`io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l`animo ad avvisar lo maggior foco;  e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che vince come qua giù vinse,  per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella.  Qualunque melodia più dolce suona qua giù e più a l`anima tira, parrebbe nube che squarciata tona,  comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel più chiaro s`inzaffira.  «Io sono amore angelico, che giro l`alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro disiro;  e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera suprema perché entre».  Così la circulata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria.  Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che più ferve e più s`avviva ne l`alito di Dio e nei costumi,  avea sopra di noi l`interna riva tanto distante, che la sua parvenza, dov`io era, ancor non appariva:  però non ebber li occhi miei potenza di seguitar la coronata fiamma che si levò appresso sua semenza.  E come fantolin che `nver` la mamma tende le braccia, poi che `l latte prese, per l`animo che `nfin di fuor s`infiamma;  ciascun di quei candori in si stese con la sua cima, che l`alto affetto ch`elli avieno a Maria mi fu palese.  Indi rimaser nel mio cospetto, `Regina celi` cantando dolce, che mai da me non si partì `l diletto.  Oh quanta è l`ubertà che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giù buone bobolce!  Quivi si vive e gode del tesoro che s`acquistò piangendo ne lo essilio di Babillòn, ove si lasciò l`oro.  Quivi triunfa, sotto l`alto Filio di Dio e di Maria, di sua vittoria, e con l`antico e col novo concilio,  colui che tien le chiavi di tal gloria. Paradiso: Canto XXIV  «O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena,  se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba,  ponete mente a l`affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch`ei pensa».  Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, a volte, a guisa di comete.  E come cerchi in tempra d`oriuoli si giran sì, che `l primo a chi pon mente quieto pare, e l`ultimo che voli;  così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente.  Di quella ch`io notai di più carezza vid`io uscire un foco felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza;  e tre fiate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice.  Però salta la penna e non lo scrivo: ché l`imagine nostra a cotai pieghe, non che `l parlare, è troppo color vivo.  «O santa suora mia che ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe».  Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com`i` ho detto.  Ed ella: «O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch`ei portò giù, di questo gaudio miro,  tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi.  S`elli ama bene e bene spera e crede, non t`è occulto, perché `l viso hai quivi dov`ogne cosa dipinta si vede;  ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a gloriarla, di lei parlare è ben ch`a lui arrivi».  Sì come il baccialier s`arma e non parla fin che `l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla,  così m`armava io d`ogne ragione mentre ch`ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione.  «Di`, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond`io levai la fronte in quella luce onde spirava questo;  poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch`io spandessi l`acqua di fuor del mio interno fonte.  «La Grazia che mi ch`io mi confessi», comincia` io, «da l`alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi».  E seguitai: «Come `l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo,  fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate».  Allora udi` : «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti».  E io appresso: «Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di giù son ascose,  che l`esser loro v`è in sola credenza, sopra la qual si fonda l`alta spene; e però di sustanza prende intenza.  E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz`avere altra vista: però intenza d`argomento tene».  Allora udi` : «Se quantunque s`acquista giù per dottrina, fosse così `nteso, non avria loco ingegno di sofista».  Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d`esta moneta già la lega e `l peso;  ma dimmi se tu l`hai ne la tua borsa». Ond`io: «Sì ho, lucida e tonda, che nel suo conio nulla mi s`inforsa».  Appresso uscì de la luce profonda che splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda,  onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch`è diffusa in su le vecchie e `n su le nuove cuoia,  è silogismo che la m`ha conchiusa acutamente sì, che `nverso d`ella ogne dimostrazion mi pare ottusa».  Io udi` poi: «L`antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l`hai tu per divina favella?».  E io: «La prova che `l ver mi dischiude, son l`opere seguite, a che natura non scalda ferro mai batte incude».  Risposto fummi: «Di`, chi t`assicura che quell`opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura».  «Se `l mondo si rivolse al cristianesmo», diss`io, «sanza miracoli, quest`uno è tal, che li altri non sono il centesmo:  ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno».  Finito questo, l`alta corte santa risonò per le spere un `Dio laudamo` ne la melode che si canta.  E quel baron che di ramo in ramo, essaminando, già tratto m`avea, che a l`ultime fronde appressavamo,  ricominciò: «La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t`aperse infino a qui come aprir si dovea,  sì ch`io approvo ciò che fuori emerse; ma or conviene espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s`offerse».  «O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver` lo sepulcro più giovani piedi»,  comincia` io, «tu vuo` ch`io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti.  E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto `l ciel move, non moto, con amore e con disio;  e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove  per Moisè, per profeti e per salmi, per l`Evangelio e per voi che scriveste poi che l`ardente Spirto vi almi;  e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza una e trina, che soffera congiunto `sono` ed `este`.  De la profonda condizion divina ch`io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l`evangelica dottrina.  Quest`è `l principio, quest`è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla».  Come `l segnor ch`ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch`el si tace;  così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, com`io tacqui, l`appostolico lume al cui comando  io avea detto: nel dir li piacqui! Paradiso: Canto XXV  Se mai continga che `l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, che m`ha fatto per molti anni macro,  vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov`io dormi` agnello, nimico ai lupi che li danno guerra;  con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò `l cappello;  però che ne la fede, che fa conte l`anime a Dio, quivi intra` io, e poi Pietro per lei mi girò la fronte.  Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond`uscì la primizia che lasciò Cristo d`i vicari suoi;  e la mia donna, piena di letizia, mi disse: «Mira, mira: ecco il barone per cui giù si vicita Galizia».  Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l`uno a l`altro pande, girando e mormorando, l`affezione;  così vid`io l`un da l`altro grande principe glorioso essere accolto, laudando il cibo che li prande.  Ma poi che `l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s`affisse, ignito che vincea `l mio volto.  Ridendo allora Beatrice disse: «Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse,  fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre più carezza».  «Leva la testa e fa che t`assicuri: che ciò che vien qua del mortal mondo, convien ch`ai nostri raggi si maturi».  Questo conforto del foco secondo mi venne; ond`io levai li occhi a` monti che li `ncurvaron pria col troppo pondo.  «Poi che per grazia vuol che tu t`affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l`aula più secreta co` suoi conti,  sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte,  di` quel ch`ell`è, di` come se ne `nfiora la mente tua, e onde a te venne». Così seguì `l secondo lume ancora.  E quella pia che guidò le penne de le mie ali a così alto volo, a la risposta così mi prevenne:  «La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com`è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:  però li è conceduto che d`Egitto vegna in Ierusalemme per vedere, anzi che `l militar li sia prescritto.  Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch`ei rapporti quanto questa virtù t`è in piacere,  a lui lasc`io, ché non li saran forti di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti».  Come discente ch`a dottor seconda pronto e libente in quel ch`elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda,  «Spene», diss`io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto.  Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce.  `Sperino in te`, ne la sua teodìa dice, `color che sanno il nome tuo`: e chi nol sa, s`elli ha la fede mia?  Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; ch`io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo».  Mentr` io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno.  Indi spirò: «L`amore ond`io avvampo ancor ver` la virtù che mi seguette infin la palma e a l`uscir del campo,  vuol ch`io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti `mpromette».  E io: «Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l`anime che Dio s`ha fatte amiche.  Dice Isaia che ciascuna vestita ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita;  e `l tuo fratello assai vie più digesta, dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta».  E prima, appresso al fin d`este parole, `Sperent in te` di sopr`a noi s`udì; a che rispuoser tutte le carole.  Poscia tra esse un lume si schiarì che, se `l Cancro avesse un tal cristallo, l`inverno avrebbe un mese d`un sol dì.  E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo,  così vid`io lo schiarato splendore venire a` due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore.  Misesi nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l`aspetto, pur come sposa tacita e immota.  «Questi è colui che giacque sopra `l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto».  La donna mia così; però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue.  Qual è colui ch`adocchia e s`argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa;  tal mi fec`io a quell`ultimo foco mentre che detto fu: «Perché t`abbagli per veder cosa che qui non ha loco?  In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che `l numero nostro con l`etterno proposito s`agguagli.  Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro».  A questa voce l`infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro,  sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l`acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d`un fischio.  Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi  presso di lei, e nel mondo felice! Paradiso: Canto XXVI  Mentr`io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento,  dicendo: «Intanto che tu ti risense de la vista che hai in me consunta, ben è che ragionando la compense.  Comincia dunque; e di` ove s`appunta l`anima tua, e fa` ragion che sia la vista in te smarrita e non defunta:  perché la donna che per questa dia region ti conduce, ha ne lo sguardo la virtù ch`ebbe la man d`Anania».  Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quand`ella entrò col foco ond`io sempr`ardo.  Lo ben che fa contenta questa corte, Alfa e O è di quanta scrittura mi legge Amore o lievemente o forte».  Quella medesma voce che paura tolta m`avea del sùbito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura;  e disse: «Certo a più angusto vaglio ti conviene schiarar: dicer convienti chi drizzò l`arco tuo a tal berzaglio».  E io: «Per filosofici argomenti e per autorità che quinci scende cotale amor convien che in me si `mprenti:  ché `l bene, in quanto ben, come s`intende, così accende amore, e tanto maggio quanto più di bontate in comprende.  Dunque a l`essenza ov`è tanto avvantaggio, che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è ch`un lume di suo raggio,  più che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova.  Tal vero a l`intelletto mio sterne colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne.  Sternel la voce del verace autore, che dice a Moisè, di parlando: `Io ti farò vedere ogne valore`.  Sternilmi tu ancora, incominciando l`alto preconio che grida l`arcano di qui giù sovra ogne altro bando».  E io udi`: «Per intelletto umano e per autoritadi a lui concorde d`i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.  Ma di` ancor se tu senti altre corde tirarti verso lui, che tu suone con quanti denti questo amor ti morde».  Non fu latente la santa intenzione de l`aguglia di Cristo, anzi m`accorsi dove volea menar mia professione.  Però ricominciai: «Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi:  ché l`essere del mondo e l`esser mio, la morte ch`el sostenne perch`io viva, e quel che spera ogne fedel com`io,  con la predetta conoscenza viva, tratto m`hanno del mar de l`amor torto, e del diritto m`han posto a la riva.  Le fronde onde s`infronda tutto l`orto de l`ortolano etterno, am`io cotanto quanto da lui a lor di bene è porto».  Sì com`io tacqui, un dolcissimo canto risonò per lo cielo, e la mia donna dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».  E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna,  e lo svegliato ciò che vede aborre, nescia è la sùbita vigilia fin che la stimativa non soccorre;  così de li occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio d`i suoi, che rifulgea da più di mille milia:  onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d`un quarto lume ch`io vidi tra noi.  E la mia donna: «Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l`anima prima che la prima virtù creasse mai».  Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la soblima,  fec`io in tanto in quant`ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond`io ardeva.  E cominciai: «O pomo che maturo solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,  divoto quanto posso a te supplìco perché mi parli: tu vedi mia voglia, e per udirti tosto non la dico».  Talvolta un animal coverto broglia, che l`affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la `nvoglia;  e similmente l`anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant`ella a compiacermi venìa gaia.  Indi spirò: «Sanz`essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t`è più certa;  perch`io la veggio nel verace speglio che fa di pareglio a l`altre cose, e nulla face lui di pareglio.  Tu vuogli udir quant`è che Dio mi puose ne l`eccelso giardino, ove costei a così lunga scala ti dispuose,  e quanto fu diletto a li occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l`idioma ch`usai e che fei.  Or, figluol mio, non il gustar del legno fu per la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno.  Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio;  e vidi lui tornare a tutt`i lumi de la sua strada novecento trenta fiate, mentre ch`io in terra fu` mi.  La lingua ch`io parlai fu tutta spenta innanzi che a l`ovra inconsummabile fosse la gente di Nembròt attenta:  ché nullo effetto mai razionabile, per lo piacere uman che rinovella seguendo il cielo, sempre fu durabile.  Opera naturale è ch`uom favella; ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v`abbella.  Pria ch`i` scendessi a l`infernale ambascia, I s`appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia;  e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l`uso d`i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene.  Nel monte che si leva più da l`onda, fu` io, con vita pura e disonesta, da la prim`ora a quella che seconda,  come `l sol muta quadra, l`ora sesta». Paradiso: Canto XXVII  `Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo`, cominciò, `gloria!`, tutto `l paradiso, che m`inebriava il dolce canto.  Ciò ch`io vedeva mi sembiava un riso de l`universo; per che mia ebbrezza intrava per l`udire e per lo viso.  Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d`amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza!  Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace,  e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s`elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne.  La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte,  quand`io udi`: «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend`io, vedrai trascolorar tutti costoro.  Quelli ch`usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio,  fatt`ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde `l perverso che cadde di qua sù, giù si placa».  Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid`io allora tutto `l ciel cosperso.  E come donna onesta che permane di sicura, e per l`altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane,  così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che `n ciel fue, quando patì la supprema possanza.  Poi procedetter le parole sue con voce tanto da trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe:  «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d`oro usata;  ma per acquisto d`esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto.  Non fu nostra intenzion ch`a destra mano d`i nostri successor parte sedesse, parte da l`altra del popol cristiano;  né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse;  né ch`io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond`io sovente arrosso e disfavillo.  In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci?  Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s`apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi!  Ma l`alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, com`io concipio;  e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch`io non ascondo».  Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l`aere nostro, quando `l corno de la capra del ciel col sol si tocca,  in vid`io così l`etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno.  Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che `l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti.  Onde la donna, che mi vide assolto de l`attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se` vòlto».  Da l`ora ch`io avea guardato prima i` vidi mosso me per tutto l`arco che fa dal mezzo al fine il primo clima;  sì ch`io vedea di da Gade il varco folle d`Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco.  E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma `l sol procedea sotto i mie` piedi un segno e più partito.  La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea;  e se natura o arte pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture,  tutte adunate, parrebber niente ver` lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente.  E la virtù che lo sguardo m`indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m`impulse.  Le parti sue vivissime ed eccelse uniforme son, ch`i` non so dire qual Beatrice per loco mi scelse.  Ma ella, che vedea `l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire:  «La natura del mondo, che quieta il mezzo e tutto l`altro intorno move, quinci comincia come da sua meta;  e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s`accende l`amor che `l volge e la virtù ch`ei piove.  Luce e amor d`un cerchio lui comprende, come questo li altri; e quel precinto colui che `l cinge solamente intende.  Non è suo moto per altro distinto,
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