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Dante Alighieri - Purgatorio (Italian)Dante Alighieri - Purgatorio (Italian)
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 ché dentro a questi termini è ripieno di venenosi sterpi, che tardi per coltivare omai verrebber meno.  Ov`è `l buon Lizio e Arrigo Mainardi? Pier Traversaro e Guido di Carpigna? Oh Romagnuoli tornati in bastardi!  Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? quando in Faenza un Bernardin di Fosco, verga gentil di picciola gramigna?  Non ti maravigliar s`io piango, Tosco, quando rimembro con Guido da Prata, Ugolin d`Azzo che vivette nosco,  Federigo Tignoso e sua brigata, la casa Traversara e li Anastagi (e l`una gente e l`altra è diretata),  le donne e ` cavalier, li affanni e li agi che ne `nvogliava amore e cortesia dove i cuor son fatti malvagi.  O Bretinoro, ché non fuggi via, poi che gita se n`è la tua famiglia e molta gente per non esser ria?  Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, che di figliar tai conti più s`impiglia.  Ben faranno i Pagan, da che `l demonio lor sen girà; ma non però che puro già mai rimagna d`essi testimonio.  O Ugolin de` Fantolin, sicuro è il nome tuo, da che più non s`aspetta chi far lo possa, tralignando, scuro.  Ma va via, Tosco, omai; ch`or mi diletta troppo di pianger più che di parlare, m`ha nostra ragion la mente stretta».  Noi sapavam che quell`anime care ci sentivano andar; però, tacendo, facean noi del cammin confidare.  Poi fummo fatti soli procedendo, folgore parve quando l`aere fende, voce che giunse di contra dicendo:  `Anciderammi qualunque m`apprende`; e fuggì come tuon che si dilegua, se sùbito la nuvola scoscende.  Come da lei l`udir nostro ebbe triegua, ed ecco l`altra con gran fracasso, che somigliò tonar che tosto segua:  «Io sono Aglauro che divenni sasso»; e allor, per ristrignermi al poeta, in destro feci e non innanzi il passo.  Già era l`aura d`ogne parte queta; ed el mi disse: «Quel fu `l duro camo che dovria l`uom tener dentro a sua meta.  Ma voi prendete l`esca, che l`amo de l`antico avversaro a vi tira; e però poco val freno o richiamo.  Chiamavi `l cielo e `ntorno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze etterne, e l`occhio vostro pur a terra mira;  onde vi batte chi tutto discerne». Purgatorio: Canto XV  Quanto tra l`ultimar de l`ora terza e `l principio del par de la spera che sempre a guisa di fanciullo scherza,  tanto pareva già inver` la sera essere al sol del suo corso rimaso; vespero là, e qui mezza notte era.  E i raggi ne ferien per mezzo `l naso, perché per noi girato era `l monte, che già dritti andavamo inver` l`occaso,  quand`io senti` a me gravar la fronte a lo splendore assai più che di prima, e stupor m`eran le cose non conte;  ond`io levai le mani inver` la cima de le mie ciglia, e fecimi `l solecchio, che del soverchio visibile lima.  Come quando da l`acqua o da lo specchio salta lo raggio a l`opposita parte, salendo su per lo modo parecchio  a quel che scende, e tanto si diparte dal cader de la pietra in igual tratta, come mostra esperienza e arte;  così mi parve da luce rifratta quivi dinanzi a me esser percosso; per che a fuggir la mia vista fu ratta.  «Che è quel, dolce padre, a che non posso schermar lo viso tanto che mi vaglia», diss`io, «e pare inver` noi esser mosso?».  «Non ti maravigliar s`ancor t`abbaglia la famiglia del cielo», a me rispuose: «messo è che viene ad invitar ch`om saglia.  Tosto sarà ch`a veder queste cose non ti fia grave, ma fieti diletto quanto natura a sentir ti dispuose».  Poi giunti fummo a l`angel benedetto, con lieta voce disse: «Intrate quinci ad un scaleo vie men che li altri eretto».  Noi montavam, già partiti di linci, e `Beati misericordes!` fue cantato retro, e `Godi tu che vinci!`.  Lo mio maestro e io soli amendue suso andavamo; e io pensai, andando, prode acquistar ne le parole sue;  e dirizza`mi a lui dimandando: «Che volse dir lo spirto di Romagna, e `divieto` e `consorte` menzionando?».  Per ch`elli a me: «Di sua maggior magagna conosce il danno; e però non s`ammiri se ne riprende perché men si piagna.  Perché s`appuntano i vostri disiri dove per compagnia parte si scema, invidia move il mantaco a` sospiri.  Ma se l`amor de la spera supprema torcesse in suso il disiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema;  ché, per quanti si dice più `nostro`, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro».  «Io son d`esser contento più digiuno», diss`io, «che se mi fosse pria taciuto, e più di dubbio ne la mente aduno.  Com`esser puote ch`un ben, distributo in più posseditor, faccia più ricchi di sé, che se da pochi è posseduto?».  Ed elli a me: «Però che tu rificchi la mente pur a le cose terrene, di vera luce tenebre dispicchi.  Quello infinito e ineffabil bene che è, così corre ad amore com`a lucido corpo raggio vene.  Tanto si quanto trova d`ardore; che, quantunque carità si stende, cresce sovr`essa l`etterno valore.  E quanta gente più s`intende, più v`è da bene amare, e più vi s`ama, e come specchio l`uno a l`altro rende.  E se la mia ragion non ti disfama, vedrai Beatrice, ed ella pienamente ti torrà questa e ciascun`altra brama.  Procaccia pur che tosto sieno spente, come son già le due, le cinque piaghe, che si richiudon per esser dolente».  Com`io voleva dicer `Tu m`appaghe`, vidimi giunto in su l`altro girone, che tacer mi fer le luci vaghe.  Ivi mi parve in una visione estatica di sùbito esser tratto, e vedere in un tempio più persone;  e una donna, in su l`entrar, con atto dolce di madre dicer: «Figliuol mio perché hai tu così verso noi fatto?  Ecco, dolenti, lo tuo padre e io ti cercavamo». E come qui si tacque, ciò che pareva prima, dispario.  Indi m`apparve un`altra con quell`acque giù per le gote che `l dolor distilla quando di gran dispetto in altrui nacque,  e dir: «Se tu se` sire de la villa del cui nome ne` dèi fu tanta lite, e onde ogni scienza disfavilla,  vendica te di quelle braccia ardite ch`abbracciar nostra figlia, o Pisistràto». E `l segnor mi parea, benigno e mite,  risponder lei con viso temperato: «Che farem noi a chi mal ne disira, se quei che ci ama è per noi condannato?»,  Poi vidi genti accese in foco d`ira con pietre un giovinetto ancider, forte gridando a pur: «Martira, martira!».  E lui vedea chinarsi, per la morte che l`aggravava già, inver` la terra, ma de li occhi facea sempre al ciel porte,  orando a l`alto Sire, in tanta guerra, che perdonasse a` suoi persecutori, con quello aspetto che pietà diserra.  Quando l`anima mia tornò di fori a le cose che son fuor di lei vere, io riconobbi i miei non falsi errori.  Lo duca mio, che mi potea vedere far com`om che dal sonno si slega, disse: «Che hai che non ti puoi tenere,  ma se` venuto più che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?».  «O dolce padre mio, se tu m`ascolte, io ti dirò», diss`io, «ciò che m`apparve quando le gambe mi furon tolte».  Ed ei: «Se tu avessi cento larve sovra la faccia, non mi sarian chiuse le tue cogitazion, quantunque parve.  Ciò che vedesti fu perché non scuse d`aprir lo core a l`acque de la pace che da l`etterno fonte son diffuse.  Non dimandai "Che hai?" per quel che face chi guarda pur con l`occhio che non vede, quando disanimato il corpo giace;  ma dimandai per darti forza al piede: così frugar conviensi i pigri, lenti ad usar lor vigilia quando riede».  Noi andavam per lo vespero, attenti oltre quanto potean li occhi allungarsi contra i raggi serotini e lucenti.  Ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi come la notte oscuro; da quello era loco da cansarsi.  Questo ne tolse li occhi e l`aere puro. Purgatorio: Canto XVI  Buio d`inferno e di notte privata d`ogne pianeto, sotto pover cielo, quant`esser può di nuvol tenebrata,  non fece al viso mio grosso velo come quel fummo ch`ivi ci coperse, a sentir di così aspro pelo,  che l`occhio stare aperto non sofferse; onde la scorta mia saputa e fida mi s`accostò e l`omero m`offerse.  Sì come cieco va dietro a sua guida per non smarrirsi e per non dar di cozzo in cosa che `l molesti, o forse ancida,  m`andava io per l`aere amaro e sozzo, ascoltando il mio duca che diceva pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».  Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia l`Agnel di Dio che le peccata leva.  Pur `Agnus Dei` eran le loro essordia; una parola in tutte era e un modo, che parea tra esse ogne concordia.  «Quei sono spirti, maestro, ch`i` odo?», diss`io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, e d`iracundia van solvendo il nodo».  «Or tu chi se` che `l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue partissi ancor lo tempo per calendi?».  Così per una voce detto fue; onde `l maestro mio disse: «Rispondi, e domanda se quinci si va sùe».  E io: «O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai, se mi secondi».  «Io ti seguiterò quanto mi lece», rispuose; «e se veder fummo non lascia, l`udir ci terrà giunti in quella vece».  Allora incominciai: «Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, e venni qui per l`infernale ambascia.  E se Dio m`ha in sua grazia rinchiuso, tanto che vuol ch`i` veggia la sua corte per modo tutto fuor del moderno uso,  non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s`i` vo bene al varco; e tue parole fier le nostre scorte».  «Lombardo fui, e fu` chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore amai al quale ha or ciascun disteso l`arco.  Per montar dirittamente vai». Così rispuose, e soggiunse: «I` ti prego che per me prieghi quando sarai».  E io a lui: «Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio dentro ad un dubbio, s`io non me ne spiego.  Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa certo qui, e altrove, quello ov`io l`accoppio.  Lo mondo è ben così tutto diserto d`ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto;  ma priego che m`addite la cagione, ch`i` la veggia e ch`i` la mostri altrui; ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».  Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.  Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto movesse seco di necessitate.  Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per male aver lutto.  Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto ch`i` `l dica, lume v`è dato a bene e a malizia,  e libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica.  A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria la mente in voi, che `l ciel non ha in sua cura.  Però, se `l mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia; e io te ne sarò or vera spia.  Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia,  l`anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volontier torna a ciò che la trastulla.  Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s`inganna, e dietro ad esso corre, se guida o fren non torce suo amore.  Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver che discernesse de la vera cittade almen la torre.  Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che `l pastor che procede, rugumar può, ma non ha l`unghie fesse;  per che la gente, che sua guida vede pur a quel ben fedire ond`ella è ghiotta, di quel si pasce, e più oltre non chiede.  Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che `l mondo ha fatto reo, e non natura che `n voi sia corrotta.  Soleva Roma, che `l buon mondo feo, due soli aver, che l`una e l`altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo.  L`un l`altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l`un con l`altro insieme per viva forza mal convien che vada;  però che, giunti, l`un l`altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, ch`ogn`erba si conosce per lo seme.  In sul paese ch`Adice e Po riga, solea valore e cortesia trovarsi, prima che Federigo avesse briga;  or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse, per vergogna di ragionar coi buoni o d`appressarsi.  Ben v`èn tre vecchi ancora in cui rampogna l`antica età la nova, e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna:  Currado da Palazzo e `l buon Gherardo e Guido da Castel, che mei si noma francescamente, il semplice Lombardo.  Dì oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in due reggimenti, cade nel fango e brutta e la soma».  «O Marco mio», diss`io, «bene argomenti; e or discerno perché dal retaggio li figli di Levì furono essenti.  Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di` ch`è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio?».  «O tuo parlar m`inganna, o el mi tenta», rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta.  Per altro sopranome io nol conosco, s`io nol togliessi da sua figlia Gaia. Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.  Vedi l`albor che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi (l`angelo è ivi) prima ch`io li paia».  Così tornò, e più non volle udirmi. Purgatorio: Canto XVII  Ricorditi, lettor, se mai ne l`alpe ti colse nebbia per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe,  come, quando i vapori umidi e spessi a diradar cominciansi, la spera del sol debilemente entra per essi;  e fia la tua imagine leggera in giugnere a veder com`io rividi lo sole in pria, che già nel corcar era.  Sì, pareggiando i miei co` passi fidi del mio maestro, usci` fuor di tal nube ai raggi morti già ne` bassi lidi.  O imaginativa che ne rube talvolta di fuor, ch`om non s`accorge perché dintorno suonin mille tube,  chi move te, se `l senso non ti porge? Moveti lume che nel ciel s`informa, per o per voler che giù lo scorge.  De l`empiezza di lei che mutò forma ne l`uccel ch`a cantar più si diletta, ne l`imagine mia apparve l`orma;  e qui fu la mia mente ristretta dentro da sé, che di fuor non venìa cosa che fosse allor da lei ricetta.  Poi piovve dentro a l`alta fantasia un crucifisso dispettoso e fero ne la sua vista, e cotal si morìa;  intorno ad esso era il grande Assuero, Estèr sua sposa e `l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far così intero.  E come questa imagine rompeo per stessa, a guisa d`una bulla cui manca l`acqua sotto qual si feo,  surse in mia visione una fanciulla piangendo forte, e dicea: «O regina, perché per ira hai voluto esser nulla?  Ancisa t`hai per non perder Lavina; or m`hai perduta! Io son essa che lutto, madre, a la tua pria ch`a l`altrui ruina».  Come si frange il sonno ove di butto nova luce percuote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto;  così l`imaginar mio cadde giuso tosto che lume il volto mi percosse, maggior assai che quel ch`è in nostro uso.  I` mi volgea per veder ov`io fosse, quando una voce disse «Qui si monta», che da ogne altro intento mi rimosse;  e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta.  Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela, così la mia virtù quivi mancava.  «Questo è divino spirito, che ne la via da ir ne drizza sanza prego, e col suo lume medesmo cela.  Sì fa con noi, come l`uom si fa sego; ché quale aspetta prego e l`uopo vede, malignamente già si mette al nego.  Or accordiamo a tanto invito il piede; procacciam di salir pria che s`abbui, ché poi non si poria, se `l non riede».  Così disse il mio duca, e io con lui volgemmo i nostri passi ad una scala; e tosto ch`io al primo grado fui,  senti`mi presso quasi un muover d`ala e ventarmi nel viso e dir: `Beati pacifici, che son sanz`ira mala!`.  Già eran sovra noi tanto levati li ultimi raggi che la notte segue, che le stelle apparivan da più lati.  `O virtù mia, perché ti dilegue?`, fra me stesso dicea, ché mi sentiva la possa de le gambe posta in triegue.  Noi eravam dove più non saliva la scala sù, ed eravamo affissi, pur come nave ch`a la piaggia arriva.  E io attesi un poco, s`io udissi alcuna cosa nel novo girone; poi mi volsi al maestro mio, e dissi:  «Dolce mio padre, , quale offensione si purga qui nel giro dove semo? Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».  Ed elli a me: «L`amor del bene, scemo del suo dover, quiritta si ristora; qui si ribatte il mal tardato remo.  Ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai alcun buon frutto di nostra dimora».  «Né creator creatura mai», cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, o naturale o d`animo; e tu `l sai.  Lo naturale è sempre sanza errore, ma l`altro puote errar per malo obietto o per troppo o per poco di vigore.  Mentre ch`elli è nel primo ben diretto, e ne` secondi stesso misura, esser non può cagion di mal diletto;  ma quando al mal si torce, o con più cura o con men che non dee corre nel bene, contra `l fattore adovra sua fattura.  Quinci comprender puoi ch`esser convene amor sementa in voi d`ogne virtute e d`ogne operazion che merta pene.  Or, perché mai non può da la salute amor del suo subietto volger viso, da l`odio proprio son le cose tute;  e perché intender non si può diviso, e per stante, alcuno esser dal primo, da quello odiare ogne effetto è deciso.  Resta, se dividendo bene stimo, che `l mal che s`ama è del prossimo; ed esso amor nasce in tre modi in vostro limo.  co  chi, per esser suo vicin soppresso, spera eccellenza, e sol per questo brama ch`el sia di sua grandezza in basso messo;  è chi podere, grazia, onore e fama teme di perder perch`altri sormonti, onde s`attrista che `l contrario ama;  ed è chi per ingiuria par ch`aonti, che si fa de la vendetta ghiotto, e tal convien che `l male altrui impronti.  Questo triforme amor qua giù di sotto si piange; or vo` che tu de l`altro intende, che corre al ben con ordine corrotto.  Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l`animo, e disira; per che di giugner lui ciascun contende.  Se lento amore a lui veder vi tira o a lui acquistar, questa cornice, dopo giusto penter, ve ne martira.  Altro ben è che non fa l`uom felice; non è felicità, non è la buona essenza, d`ogne ben frutto e radice.  L`amor ch`ad esso troppo s`abbandona, di sovr`a noi si piange per tre cerchi; ma come tripartito si ragiona,  tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». Purgatorio: Canto XVIII  Posto avea fine al suo ragionamento l`alto dottore, e attento guardava ne la mia vista s`io parea contento;  e io, cui nova sete ancor frugava, di fuor tacea, e dentro dicea: `Forse lo troppo dimandar ch`io fo li grava`.  Ma quel padre verace, che s`accorse del timido voler che non s`apriva, parlando, di parlare ardir mi porse.  Ond`io: «Maestro, il mio veder s`avviva nel tuo lume, ch`io discerno chiaro quanto la tua ragion parta o descriva.  Però ti prego, dolce padre caro, che mi dimostri amore, a cui reduci ogne buono operare e `l suo contraro».  «Drizza», disse, «ver` me l`agute luci de lo `ntelletto, e fieti manifesto l`error de` ciechi che si fanno duci.  L`animo, ch`è creato ad amar presto, ad ogne cosa è mobile che piace, tosto che dal piacere in atto è desto.  Vostra apprensiva da esser verace tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, che l`animo ad essa volger face;  e se, rivolto, inver` di lei si piega, quel piegare è amor, quell`è natura che per piacer di novo in voi si lega.  Poi, come `l foco movesi in altura per la sua forma ch`è nata a salire dove più in sua matera dura,  così l`animo preso entra in disire, ch`è moto spiritale, e mai non posa fin che la cosa amata il fa gioire.  Or ti puote apparer quant`è nascosa la veritate a la gente ch`avvera ciascun amore in laudabil cosa;  però che forse appar la sua matera sempre esser buona, ma non ciascun segno è buono, ancor che buona sia la cera».  «Le tue parole e `l mio seguace ingegno», rispuos`io lui, «m`hanno amor discoverto, ma ciò m`ha fatto di dubbiar più pregno;  ché, s`amore è di fuori a noi offerto, e l`anima non va con altro piede, se dritta o torta va, non è suo merto».  Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede, dir ti poss`io; da indi in t`aspetta pur a Beatrice, ch`è opra di fede.  Ogne forma sustanzial, che setta è da matera ed è con lei unita, specifica vertute ha in colletta,  la qual sanza operar non è sentita, si dimostra mai che per effetto, come per verdi fronde in pianta vita.  Però, onde vegna lo `ntelletto de le prime notizie, omo non sape, e de` primi appetibili l`affetto,  che sono in voi come studio in ape di far lo mele; e questa prima voglia merto di lode o di biasmo non cape.  Or perché a questa ogn`altra si raccoglia, innata v`è la virtù che consiglia, e de l`assenso de` tener la soglia.  Quest`è `l principio onde si piglia ragion di meritare in voi, secondo che buoni e rei amori accoglie e viglia.  Color che ragionando andaro al fondo, s`accorser d`esta innata libertate; però moralità lasciaro al mondo.  Onde, poniam che di necessitate surga ogne amor che dentro a voi s`accende, di ritenerlo è in voi la podestate.  La nobile virtù Beatrice intende per lo libero arbitrio, e però guarda che l`abbi a mente, s`a parlar ten prende».  La luna, quasi a mezza notte tarda, facea le stelle a noi parer più rade, fatta com`un secchion che tuttor arda;  e correa contro `l ciel per quelle strade che `l sole infiamma allor che quel da Roma tra Sardi e ` Corsi il vede quando cade.  E quell`ombra gentil per cui si noma Pietola più che villa mantoana, del mio carcar diposta avea la soma;  per ch`io, che la ragione aperta e piana sovra le mie quistioni avea ricolta, stava com`om che sonnolento vana.  Ma questa sonnolenza mi fu tolta subitamente da gente che dopo le nostre spalle a noi era già volta.  E quale Ismeno già vide e Asopo lungo di di notte furia e calca, pur che i Teban di Bacco avesser uopo,  cotal per quel giron suo passo falca, per quel ch`io vidi di color, venendo, cui buon volere e giusto amor cavalca.  Tosto fur sovr`a noi, perché correndo si movea tutta quella turba magna; e due dinanzi gridavan piangendo:  «Maria corse con fretta a la montagna; e Cesare, per soggiogare Ilerda, punse Marsilia e poi corse in Ispagna».  «Ratto, ratto, che `l tempo non si perda per poco amor», gridavan li altri appresso, «che studio di ben far grazia rinverda».  «O gente in cui fervore aguto adesso ricompie forse negligenza e indugio da voi per tepidezza in ben far messo,  questi che vive, e certo i` non vi bugio, vuole andar sù, pur che `l sol ne riluca; però ne dite ond`è presso il pertugio».  Parole furon queste del mio duca; e un di quelli spirti disse: «Vieni di retro a noi, e troverai la buca.  Noi siam di voglia a muoverci pieni, che restar non potem; però perdona, se villania nostra giustizia tieni.  Io fui abate in San Zeno a Verona sotto lo `mperio del buon Barbarossa, di cui dolente ancor Milan ragiona.  E tale ha già l`un piè dentro la fossa, che tosto piangerà quel monastero, e tristo fia d`avere avuta possa;  perché suo figlio, mal del corpo intero, e de la mente peggio, e che mal nacque, ha posto in loco di suo pastor vero».  Io non so se più disse o s`ei si tacque, tant`era già di da noi trascorso; ma questo intesi, e ritener mi piacque.  E quei che m`era ad ogne uopo soccorso disse: «Volgiti qua: vedine due venir dando a l`accidia di morso».  Di retro a tutti dicean: «Prima fue morta la gente a cui il mar s`aperse, che vedesse Iordan le rede sue.  E quella che l`affanno non sofferse fino a la fine col figlio d`Anchise, stessa a vita sanza gloria offerse».  Poi quando fuor da noi tanto divise quell`ombre, che veder più non potiersi, novo pensiero dentro a me si mise,  del qual più altri nacquero e diversi; e tanto d`uno in altro vaneggiai, che li occhi per vaghezza ricopersi,  e `l pensamento in sogno trasmutai. Purgatorio: Canto XIX  Ne l`ora che non può `l calor diurno intepidar più `l freddo de la luna, vinto da terra, e talor da Saturno  - quando i geomanti lor Maggior Fortuna veggiono in orïente, innanzi a l`alba, surger per via che poco le sta bruna -,  mi venne in sogno una femmina balba, ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, con le man monche, e di colore scialba.  Io la mirava; e come `l sol conforta le fredde membra che la notte aggrava, così lo sguardo mio le facea scorta  la lingua, e poscia tutta la drizzava in poco d`ora, e lo smarrito volto, com` amor vuol, così le colorava.  Poi ch`ell` avea `l parlar così disciolto, cominciava a cantar sì, che con pena da lei avrei mio intento rivolto.  «Io son», cantava, «io son dolce serena, che` marinari in mezzo mar dismago; tanto son di piacere a sentir piena!  Io volsi Ulisse del suo cammin vago al canto mio; e qual meco s`ausa, rado sen parte; tutto l`appago!».  Ancor non era sua bocca richiusa, quand` una donna apparve santa e presta lunghesso me per far colei confusa.  «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?», fieramente dicea; ed el venìa con li occhi fitti pur in quella onesta.  L`altra prendea, e dinanzi l`apria fendendo i drappi, e mostravami `l ventre; quel mi svegliò col puzzo che n`uscia.  Io mossi li occhi, e `l buon maestro: «Almen tre voci t`ho messe!», dicea, «Surgi e vieni; troviam l`aperta per la qual tu entre».  Sù mi levai, e tutti eran già pieni de l`alto i giron del sacro monte, e andavam col sol novo a le reni.  Seguendo lui, portava la mia fronte come colui  che l`ha di pensier carca, che fa di un mezzo arco di ponte;  quand` io udi` «Venite; qui si varca» parlare in modo soave e benigno, qual non si sente in questa mortal marca.  Con l`ali aperte, che parean di cigno, volseci in colui che parlonne tra due pareti del duro macigno.  Mosse le penne poi e ventilonne, `Qui lugent` affermando esser beati, ch`avran di consolar l`anime donne.  «Che hai che pur inver` la terra guati?», la guida mia incominciò a dirmi, poco amendue da l`angel sormontati.  E io: «Con tanta sospeccion fa irmi novella visïon ch`a mi piega, ch`io non posso dal pensar partirmi».  «Vedesti», disse, «quell`antica strega che sola sovr` a noi omai si piagne; vedesti come l`uom da lei si slega.  Bastiti, e batti a terra le calcagne; li occhi rivolgi al logoro che gira lo rege etterno con le rote magne».  Quale `l falcon, che prima a` pié si mira, indi si volge  al grido e si protende per lo disio del pasto che il tira,  tal mi fec` io; e tal, quanto si fende la roccia per dar via a chi va suso, n`andai infin dove `l cerchiar si prende.  Com`io nel quinto giro fui dischiuso, vidi gente per esso che piangea, giacendo a terra tutta volta in giuso.  `Adhaesit pavimento anima mea` sentia dir lor con alti sospiri, che la parola a pena s`intendea.  «O eletti di Dio, li cui soffriri e giustizia e speranza fa men duri, drizzate noi verso li alti saliri».  «Se voi venite dal giacer sicuri, e volete trovar la via più tosto, le vostre destre sien sempre di fori».  Così pregò `l poeta, e risposto poco dinanzi a noi ne fu; per ch`io nel parlare avvisai l`altro nascosto,  e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: ond` elli m`assentì con lieto cenno ciò che chiedea la vista del disio.  Poi ch`io potei di me fare a mio senno, trassimi sovra quella creatura le cui parole pria notar mi fenno,  dicendo: «Spirto in cui pianger matura quel sanza `l quale a Dio tornar non pòssi, sosta un poco per me tua maggior cura.  Chi fosti e perché vòlti avete i dossi al sù, mi dì, e se vuo` ch`io t`impetri cosa di ond` io vivendo mossi».  Ed elli a me: «Perché i nostri diretri rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima scias quod ego fui successor Petri.  Intra Sïestri e Chiaveri s`adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima.  Un mese è poco più prova` io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, che piuma sembran tutte l`altre some.  La mia conversïone, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda.  Vidi che non s`acquetava il core, più salir  potiesi in quella vita; er che di questa in me s`accese amore.  Fino a quel punto misera e partita da Dio anima fui, del tutto avara; or, come vedi, qui ne son punita.  Quel ch`avarizia fa, qui si dichiara in purgazion de l`anime converse; e nulla pena il monte ha più amara.  Sì come l`occhio nostro non s`aderse in alto, fisso a le cose terrene, così giustizia qui a terra il merse.  Come avarizia spense a ciascun bene lo nostro amore, onde operar perdési, così giustizia qui stretti ne tene,  ne` piedi e ne le man legati e presi; e quanto fia piacer del giusto Sire, tanto staremo immobili e distesi».  Io m`era inginocchiato e volea dire; ma com` io cominciai ed el s`accorse, solo ascoltando, del mio reverire,  «Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?». E io a lui: «Per vostra dignitate mia coscïenza dritto mi rimorse».  «Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», rispuose; «non errar: conservo sono teco e con li altri ad una podestate.  Se mai quel santo evangelico suono che dice `Neque nubent` intendesti, ben puoi veder perch`io così ragiono.  Vattene omai: non vo` che più t`arresti; ché la tua stanza mio pianger disagia, col qual maturo ciò che tu dicesti.  Nepote ho io di c`ha nome Alagia, buona da sé, pur che la nostra casa non faccia lei per essempro malvagia;  e questa sola di m`è rimasa». Purgatorio: Canto XX  Contra miglior voler voler mal pugna; onde contra `l piacer mio, per piacerli, trassi de l`acqua non sazia la spugna.  Mossimi; e `l duca mio si mosse per li luoghi spediti pur lungo la roccia, come si va per muro stretto a` merli;  ché la gente che fonde a goccia a goccia per li occhi il mal che tutto `l mondo occupa, da l`altra parte in fuor troppo s`approccia.  Maladetta sie tu, antica lupa, che più che tutte l`altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa!  O ciel, nel cui girar par che si creda le condizion di qua giù trasmutarsi, quando verrà per cui questa disceda?  Noi andavam con passi lenti e scarsi, e io attento a l`ombre, ch`i` sentia pietosamente piangere e lagnarsi;  e per ventura udi` «Dolce Maria!» dinanzi a noi chiamar così nel pianto come fa donna che in parturir sia;  e seguitar: «Povera fosti tanto, quanto veder si può per quello ospizio dove sponesti il tuo portato santo».  Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, con povertà volesti anzi virtute che gran ricchezza posseder con vizio».  Queste parole m`eran piaciute, ch`io mi trassi oltre per aver contezza di quello spirto onde parean venute.  Esso parlava ancor de la larghezza che fece Niccolò a le pulcelle, per condurre ad onor lor giovinezza.  «O anima che tanto ben favelle, dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola tu queste degne lode rinovelle.  Non fia sanza mercé la tua parola, s`io ritorno a compiér lo cammin corto di quella vita ch`al termine vola».  Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto ch`io attenda di là, ma perché tanta grazia in te luce prima che sie morto.  Io fui radice de la mala pianta che la terra cristiana tutta aduggia, che buon frutto rado se ne schianta.  Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia potesser, tosto ne saria vendetta; e io la cheggio a lui che tutto giuggia.  Chiamato fui di Ugo Ciappetta; di me son nati i Filippi e i Luigi per cui novellamente è Francia retta.  Figliuol fu` io d`un beccaio di Parigi: quando li regi antichi venner meno tutti, fuor ch`un renduto in panni bigi,  trova`mi stretto ne le mani il freno del governo del regno, e tanta possa di nuovo acquisto, e d`amici pieno,  ch`a la corona vedova promossa la testa di mio figlio fu, dal quale cominciar di costor le sacrate ossa.  Mentre che la gran dota provenzale al sangue mio non tolse la vergogna, poco valea, ma pur non facea male.  Lì cominciò con forza e con menzogna la sua rapina; e poscia, per ammenda, Pontì e Normandia prese e Guascogna.  Carlo venne in Italia e, per ammenda, vittima di Curradino; e poi ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.  Tempo vegg`io, non molto dopo ancoi, che tragge un altro Carlo fuor di Francia, per far conoscer meglio e e ` suoi.  Sanz`arme n`esce e solo con la lancia con la qual giostrò Giuda, e quella ponta ch`a Fiorenza fa scoppiar la pancia.  Quindi non terra, ma peccato e onta guadagnerà, per tanto più grave, quanto più lieve simil danno conta.  L`altro, che già uscì preso di nave, veggio vender sua figlia e patteggiarne come fanno i corsar de l`altre schiave.  O avarizia, che puoi tu più farne, poscia c`ha` il mio sangue a te tratto, che non si cura de la propria carne?  Perché men paia il mal futuro e `l fatto, veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto.  Veggiolo un`altra volta esser deriso; veggio rinovellar l`aceto e `l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso.  Veggio il novo Pilato crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto portar nel Tempio le cupide vele.  O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l`ira tua nel tuo secreto?  Ciò ch`io dicea di quell`unica sposa de lo Spirito Santo e che ti fece verso me volger per alcuna chiosa,  tanto è risposto a tutte nostre prece quanto `l dura; ma com`el s`annotta, contrario suon prendemo in quella vece.  Noi repetiam Pigmalion allotta, cui traditore e ladro e paricida fece la voglia sua de l`oro ghiotta;  e la miseria de l`avaro Mida, che seguì a la sua dimanda gorda, per la qual sempre convien che si rida.  Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, come furò le spoglie, che l`ira di Iosuè qui par ch`ancor lo morda.  Indi accusiam col marito Saffira; lodiam i calci ch`ebbe Eliodoro; e in infamia tutto `l monte gira  Polinestòr ch`ancise Polidoro; ultimamente ci si grida: "Crasso, dilci, che `l sai: di che sapore è l`oro?".  Talor parla l`uno alto e l`altro basso, secondo l`affezion ch`ad ir ci sprona ora a maggiore e ora a minor passo:  però al ben che `l ci si ragiona, dianzi non era io sol; ma qui da presso non alzava la voce altra persona».  Noi eravam partiti già da esso, e brigavam di soverchiar la strada tanto quanto al poder n`era permesso,  quand`io senti`, come cosa che cada, tremar lo monte; onde mi prese un gelo qual prender suol colui ch`a morte vada.  Certo non si scoteo forte Delo, pria che Latona in lei facesse `l nido a parturir li due occhi del cielo.  Poi cominciò da tutte parti un grido tal, che `l maestro inverso me si feo, dicendo: «Non dubbiar, mentr`io ti guido».  `Gloria in excelsis` tutti `Deo` dicean, per quel ch`io da` vicin compresi, onde intender lo grido si poteo.  No` istavamo immobili e sospesi come i pastor che prima udir quel canto, fin che `l tremar cessò ed el compiési.  Poi ripigliammo nostro cammin santo, guardando l`ombre che giacean per terra, tornate già in su l`usato pianto.  Nulla ignoranza mai con tanta guerra mi desideroso di sapere, se la memoria mia in ciò non erra,  quanta pareami allor, pensando, avere; per la fretta dimandare er`oso, per me potea cosa vedere:  così m`andava timido e pensoso. Purgatorio: Canto XXI  La sete natural che mai non sazia se non con l`acqua onde la femminetta samaritana domandò la grazia,  mi travagliava, e pungeami la fretta per la `mpacciata via dietro al mio duca, e condoleami a la giusta vendetta.  Ed ecco, come ne scrive Luca che Cristo apparve a` due ch`erano in via, già surto fuor de la sepulcral buca,  ci apparve un`ombra, e dietro a noi venìa, dal piè guardando la turba che giace; ci addemmo di lei, parlò pria,  dicendo; «O frati miei, Dio vi dea pace». Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio rendéli `l cenno ch`a ciò si conface.  Poi cominciò: «Nel beato concilio ti ponga in pace la verace corte che me rilega ne l`etterno essilio».  «Come!», diss`elli, e parte andavam forte: «se voi siete ombre che Dio non degni, chi v`ha per la sua scala tanto scorte?».  E `l dottor mio: «Se tu riguardi a` segni che questi porta e che l`angel profila, ben vedrai che coi buon convien ch`e` regni.  Ma perché lei che e notte fila non li avea tratta ancora la conocchia che Cloto impone a ciascuno e compila,  l`anima sua, ch`è tua e mia serocchia, venendo sù, non potea venir sola, però ch`al nostro modo non adocchia.  Ond`io fui tratto fuor de l`ampia gola d`inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto `l potrà menar mia scola.
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