Dante Alighieri - Paradiso (Italian)Dante Alighieri - Paradiso (Italian)
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nascere un lustro sopra quel che v`era,
per guisa d`orizzonte che rischiari.
E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,
parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l`altre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece sùbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma Beatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.
Ben m`accors`io ch`io era più levato,
per l`affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l`usato.
Con tutto `l core e con quella favella
ch`è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.
E non er`anco del mio petto essausto
l`ardor del sacrificio, ch`io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
ché con tanto lucore e tanto robbi
m`apparvero splendor dentro a due raggi,
ch`io dissi: «O Eliòs che sì li addobbi!».
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ` poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo `ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch`io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch`io lasso,
vedendo in quell`albor balenar Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e `l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d`i corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l`ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
così da` lumi che lì m`apparinno
s`accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l`inno.
Ben m`accors`io ch`elli era d`alte lode,
però ch`a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.
Io m`innamorava tanto quinci,
che `nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne` quai mirando mio disio ha posa;
ma chi s`avvede che i vivi suggelli
d`ogne bellezza più fanno più suso,
e ch`io non m`era lì rivolto a quelli,
escusar puommi di quel ch`io m`accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché `l piacer santo non è qui dischiuso,
perché si fa, montando, più sincero.
Paradiso: Canto XV
Benigna volontade in che si liqua
sempre l`amor che drittamente spira,
come cupidità fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quietar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a` giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
ch`io le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene è che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri,
etternalmente quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond`e` s`accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che `n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì resplende;
né si partì la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radial trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
Sì pia l`ombra d`Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s`accorse.
«O sanguis meus, o superinfusa
gratia Dei, sicut tibi cui
bis unquam celi ianua reclusa?».
Così quel lume: ond`io m`attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch`io pensai co` miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
ch`io non lo `ntesi, sì parlò profondo;
né per elezion mi si nascose,
ma per necessità, ché `l suo concetto
al segno d`i mortal si soprapuose.
E quando l`arco de l`ardente affetto
fu sì sfogato, che `l parlar discese
inver` lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me s`intese,
«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
che nel mio seme se` tanto cortese!».
E seguì: «Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du` non si muta mai bianco né bruno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch`io ti parlo, mercè di colei
ch`a l`alto volo ti vestì le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel ch`è primo, così come raia
da l`un, se si conosce, il cinque e `l sei;
e però ch`io mi sia e perch`io paia
più gaudioso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi `l vero; ché i minori e ` grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perché `l sacro amore in che io veglio
con perpetua vista e che m`asseta
di dolce disiar, s`adempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni `l disio,
a che la mia risposta è già decreta!».
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch`io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l`ali al voler mio.
Poi cominciai così: «L`affetto e `l senno,
come la prima equalità v`apparse,
d`un peso per ciascun di voi si fenno,
però che `l sol che v`allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne` mortali,
per la cagion ch`a voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali;
ond`io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia preziosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio».
«O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent`anni e piùe
girato ha `l monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l`opere tue.
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond`ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che `l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vòte;
non v`era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che `n camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com`è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid`io andar cinto
di cuoio e d`osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza `l viso dipinto;
e vidi quel d`i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.
L`una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l`idioma
che prima i padri e le madri trastulla;
l`altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d`i Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.
A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,
Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne l`antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo `mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.
Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d`i pastor, vostra giustizia.
Quivi fu` io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt`anime deturpa;
e venni dal martiro a questa pace».
Paradiso: Canto XVI
O poca nostra nobiltà di sangue,
se gloriar di te la gente fai
qua giù dove l`affetto nostro langue,
mirabil cosa non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se` tu manto che tosto raccorce:
sì che, se non s`appon di dì in die,
lo tempo va dintorno con le force.
Dal `voi` che prima a Roma s`offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;
onde Beatrice, ch`era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate sì, ch`i` son più ch`io.
Per tanti rivi s`empie d`allegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia
perché può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra puerizia;
ditemi de l`ovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di più alti scanni».
Come s`avviva a lo spirar d`i venti
carbone in fiamma, così vid`io quella
luce risplendere a` miei blandimenti;
e come a li occhi miei si fé più bella,
così con voce più dolce e soave,
ma non con questa moderna favella,
dissemi: «Da quel dì che fu detto `Ave`
al parto in che mia madre, ch`è or santa,
s`alleviò di me ond`era grave,
al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l`ultimo sesto
da quei che corre il vostro annual gioco.
Basti d`i miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
più è tacer che ragionare onesto.
Tutti color ch`a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e `l Batista,
eran il quinto di quei ch`or son vivi.
Ma la cittadinanza, ch`è or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l`ultimo artista.
Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch`io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine,
che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan d`Aguglion, di quel da Signa,
che già per barattare ha l`occhio aguzzo!
Se la gente ch`al mondo più traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,
tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
là dove andava l`avolo a la cerca;
sariesi Montemurlo ancor de` Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d`Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s`appone;
e cieco toro più avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
più e meglio una che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.
E come `l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna:
per che non dee parer mirabil cosa
ciò ch`io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa.
Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
già nel calare, illustri cittadini;
e vidi così grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l`Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
Sovra la porta ch`al presente è carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,
erano i Ravignani, ond`è disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l`alto Bellincione ha poscia preso.
Quel de la Pressa sapeva già come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua già l`elsa e `l pome.
Grand`era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch`arrossan per lo staio.
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l`oro
fiorian Fiorenza in tutt`i suoi gran fatti.
Così facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.
L`oltracotata schiatta che s`indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra `l dente
o ver la borsa, com`agnel si placa,
già venìa sù, ma di picciola gente;
sì che non piacque ad Ubertin Donato
che poi il suocero il fé lor parente.
Già era `l Caponsacco nel mercato
disceso giù da Fiesole, e già era
buon cittadino Giuda e Infangato.
Io dirò cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s`entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera.
Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e `l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,
da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.
Già eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo più quieto,
se di novi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v`ha morti,
e puose fine al vostro viver lieto,
era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze sue per li altrui conforti!
Molti sarebber lieti, che son tristi,
se Dio t`avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch`a città venisti.
Ma conveniesi a quella pietra scema
che guarda `l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema.
Con queste genti, e con altre con esse,
vid`io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse:
con queste genti vid`io glorioso
e giusto il popol suo, tanto che `l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,
né per division fatto vermiglio».
Paradiso: Canto XVII
Qual venne a Climené, per accertarsi
di ciò ch`avea incontro a sé udito,
quei ch`ancor fa li padri ai figli scarsi;
tal era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito.
Per che mia donna «Manda fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì ch`ella esca
segnata bene de la interna stampa;
non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché t`ausi
a dir la sete, sì che l`uom ti mesca».
«O cara piota mia che sì t`insusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in triangol due ottusi,
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti;
mentre ch`io era a Virgilio congiunto
su per lo monte che l`anime cura
e discendendo nel mondo defunto,
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch`io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura;
per che la voglia mia saria contenta
d`intender qual fortuna mi s`appressa;
ché saetta previsa vien più lenta».
Così diss`io a quella luce stessa
che pria m`avea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
già s`inviscava pria che fosse anciso
l`Agnel di Dio che le peccata tolle,
ma per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso:
«La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno:
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti s`apparecchia.
Qual si partio Ipolito d`Atene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene.
Questo si vuole e questo già si cerca,
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
là dove Cristo tutto dì si merca.
La colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l`arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e `l salir per l`altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr`a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n`avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì ch`a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo refugio e `l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che `n su la scala porta il santo uccello;
ch`in te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri è più tardo.
Con lui vedrai colui che `mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l`opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
ma pria che `l Guasco l`alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d`argento né d`affanni.
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che ` suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t`aspetta e a` suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;
e portera`ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai»; e disse cose
incredibili a quei che fier presente.
Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le `nsidie
che dietro a pochi giri son nascose.
Non vo` però ch`a` tuoi vicini invidie,
poscia che s`infutura la tua vita
vie più là che `l punir di lor perfidie».
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l`anima santa di metter la trama
in quella tela ch`io le porsi ordita,
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama:
«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch`è più grave a chi più s`abbandona;
per che di provedenza è buon ch`io m`armi,
sì che, se loco m`è tolto più caro,
io non perdessi li altri per miei carmi.
Giù per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s`io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume;
e s`io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico».
La luce in che rideva il mio tesoro
ch`io trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d`oro;
indi rispuose: «Coscienza fusca
o de la propria o de l`altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov`è la rogna.
Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d`onor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l`anime che son di fama note,
che l`animo di quel ch`ode, non posa
né ferma fede per essempro ch`aia
la sua radice incognita e ascosa,
né per altro argomento che non paia».
Paradiso: Canto XVIII
Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l`acerbo;
e quella donna ch`a Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa ch`i` sono
presso a colui ch`ogne torto disgrava».
Io mi rivolsi a l`amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l`abbandono:
non perch`io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
sovra sé tanto, s`altri non la guidi.
Tanto poss`io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
fin che `l piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d`un sorriso,
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ché non pur ne` miei occhi è paradiso».
Come si vede qui alcuna volta
l`affetto ne la vista, s`elli è tanto,
che da lui sia tutta l`anima tolta,
così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch`io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El cominciò: «In questa quinta soglia
de l`albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì ch`ogne musa ne sarebbe opima.
Però mira ne` corni de la croce:
quello ch`io nomerò, lì farà l`atto
che fa in nube il suo foco veloce».
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com`el si feo;
né mi fu noto il dir prima che `l fatto.
E al nome de l`alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.
Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com`occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e `l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra l`altre luci mota e mista,
mostrommi l`alma che m`avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l`ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l`uom di giorno in giorno
s`accorge che la sua virtute avanza,
sì m`accors`io che `l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l`arco,
veggendo quel miracol più addorno.
E qual è `l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando `l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m`avea ricolto.
Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l`amor che lì era,
segnare a li occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,
sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l`un di questi segni,
un poco s`arrestavano e taciensi.
O diva Pegasea che li `ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ` regni,
illustrami di te, sì ch`io rilevi
le lor figure com`io l`ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.
`DILIGITE IUSTITIAM`, primai
fur verbo e nome di tutto `l dipinto;
`QUI IUDICATIS TERRAM`, fur sezzai.
Poscia ne l`emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d`oro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l`emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben ch`a sé le move.
Poi, come nel percuoter d`i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come `l sol che l`accende sortille;
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e `l collo d`un`aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge lì, non ha chi `l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch`è forma per li nidi.
L`altra beatitudo, che contenta
pareva prima d`ingigliarsi a l`emme,
con poco moto seguitò la `mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per ch`io prego la mente in che s`inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond`esce il fummo che `l tuo raggio vizia;
sì ch`un`altra fiata omai s`adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.
O milizia del ciel cu` io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo essemplo!
Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che `l pio Padre a nessun serra.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: «I` ho fermo `l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,
ch`io non conosco il pescator né Polo».
Paradiso: Canto XIX
Parea dinanzi a me con l`ali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan l`anime conserte;
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse sì acceso,
che ne` miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso;
ch`io vidi e anche udi` parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
quand`era nel concetto e `noi` e `nostro`.
E cominciò: «Per esser giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a disio;
e in terra lasciai la mia memoria
sì fatta, che le genti lì malvage
commendan lei, ma non seguon la storia».
Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image.
Ond`io appresso: «O perpetui fiori
de l`etterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m`ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se `n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che `l vostro non l`apprende con velame.
Sapete come attento io m`apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che m`è digiun cotanto vecchio».
Quasi falcone ch`esce del cappello,
move la testa e con l`ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,
vid`io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude.
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
non poté suo valor sì fare impresso
in tutto l`universo, che `l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo che `l primo superbo,
che fu la somma d`ogne creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo;
e quinci appar ch`ogne minor natura
è corto recettacolo a quel bene
che non ha fine e sé con sé misura.
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de` raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene,
non pò da sua natura esser possente
tanto, che suo principio discerna
molto di là da quel che l`è parvente.
Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com`occhio per lo mare, entro s`interna;
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
èli, ma cela lui l`esser profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è tenebra
od ombra de la carne o suo veleno.
Assai t`è mo aperta la latebra
che t`ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra;
ché tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
de l`Indo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e sanza fede:
ov`è questa giustizia che `l condanna?
ov`è la colpa sua, se ei non crede?"
Or tu chi se`, che vuo` sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d`una spanna?
Certo a colui che meco s`assottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia.
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volontà, ch`è da sé buona,
da sé, ch`è sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a sé la tira,
ma essa, radiando, lui cagiona».
Quale sovresso il nido si rigira
poi c`ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch`è pasto la rimira;
cotal si fece, e sì levai i cigli,
la benedetta imagine, che l`ali
movea sospinte da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te, che non le `ntendi,
tal è il giudicio etterno a voi mortali».
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fé i Romani al mondo reverendi,
esso ricominciò: «A questo regno
non salì mai chi non credette `n Cristo,
né pria né poi ch`el si chiavasse al legno.
Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!",
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo;
e tai Cristian dannerà l`Etiòpe,
quando si partiranno i due collegi,
l`uno in etterno ricco e l`altro inòpe.
Che poran dir li Perse a` vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
Lì si vedrà, tra l`opere d`Alberto,
quella che tosto moverà la penna,
per che `l regno di Praga fia diserto.
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna.
Lì si vedrà la superbia ch`asseta,
che fa lo Scotto e l`Inghilese folle,
sì che non può soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e `l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
che mai valor non conobbe né volle.
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua bontate,
quando `l contrario segnerà un emme.
Vedrassi l`avarizia e la viltate
di quei che guarda l`isola del foco,
ove Anchise finì la lunga etate;
e a dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l`opere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
lì si conosceranno, e quel di Rascia
che male ha visto il conio di Vinegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
più malmenare! e beata Navarra,
se s`armasse del monte che la fascia!
E creder de` ciascun che già, per arra
di questo, Niccosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
che dal fianco de l`altre non si scosta».
Paradiso: Canto XX
Quando colui che tutto `l mondo alluma
de l`emisperio nostro sì discende,
che `l giorno d`ogne parte si consuma,
lo ciel, che sol di lui prima s`accende,
subitamente si rifà parvente
per molte luci, in che una risplende;
e questo atto del ciel mi venne a mente,
come `l segno del mondo e de` suoi duci
nel benedetto rostro fu tacente;
però che tutte quelle vive luci,
vie più lucendo, cominciaron canti
da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso t`ammanti,
quanto parevi ardente in que` flailli,
ch`avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli
ond`io vidi ingemmato il sesto lume
puoser silenzio a li angelici squilli,
udir mi parve un mormorar di fiume
che scende chiaro giù di pietra in pietra,
mostrando l`ubertà del suo cacume.
E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e sì com`al pertugio
de la sampogna vento che penètra,
così, rimosso d`aspettare indugio,
quel mormorar de l`aguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo becco in forma di parole,
quali aspettava il core ov`io le scrissi.
«La parte in me che vede e pate il sole
ne l`aguglie mortali», incominciommi,
«or fisamente riguardar si vole,
perché d`i fuochi ond`io figura fommi,
quelli onde l`occhio in testa mi scintilla,
e` di tutti lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla,
fu il cantor de lo Spirito Santo,
che l`arca traslatò di villa in villa:
ora conosce il merto del suo canto,
in quanto effetto fu del suo consiglio,
per lo remunerar ch`è altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
colui che più al becco mi s`accosta,
la vedovella consolò del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l`esperienza
di questa dolce vita e de l`opposta.
E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per l`arco superno,
morte indugiò per vera penitenza:
ora conosce che `l giudicio etterno
non si trasmuta, quando degno preco
fa crastino là giù de l`odierno.
L`altro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fé mal frutto,
per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li è nocivo,
avvegna che sia `l mondo indi distrutto.
E quel che vedi ne l`arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s`innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante,
che Rifeo Troiano in questo tondo
fosse la quinta de le luci sante?
Ora conosce assai di quel che `l mondo
veder non può de la divina grazia,
ben che sua vista non discerna il fondo».
Quale allodetta che `n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
de l`ultima dolcezza che la sazia,
tal mi sembiò l`imago de la `mprenta
de l`etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell`è diventa.
E avvegna ch`io fossi al dubbiar mio
lì quasi vetro a lo color ch`el veste,
tempo aspettar tacendo non patio,
ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
mi pinse con la forza del suo peso:
per ch`io di coruscar vidi gran feste.
Poi appresso, con l`occhio più acceso,
lo benedetto segno mi rispuose
per non tenermi in ammirar sospeso:
«Io veggio che tu credi queste cose
perch`io le dico, ma non vedi come;
sì che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
apprende ben, ma la sua quiditate
veder non può se altri non la prome.
Regnum celorum violenza pate
da caldo amore e da viva speranza,
che vince la divina volontate:
non a guisa che l`omo a l`om sobranza,
ma vince lei perché vuole esser vinta,
e, vinta, vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
ti fa maravigliar, perché ne vedi
la region de li angeli dipinta.
D`i corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
quel d`i passuri e quel d`i passi piedi.
Ché l`una de lo `nferno, u` non si riede
già mai a buon voler, tornò a l`ossa;
e ciò di viva spene fu mercede:
di viva spene, che mise la possa
ne` prieghi fatti a Dio per suscitarla,
sì che potesse sua voglia esser mossa.
L`anima gloriosa onde si parla,
tornata ne la carne, in che fu poco,
credette in lui che potea aiutarla;
e credendo s`accese in tanto foco
di vero amor, ch`a la morte seconda
fu degna di venire a questo gioco.
L`altra, per grazia che da sì profonda
fontana stilla, che mai creatura
non pinse l`occhio infino a la prima onda,
tutto suo amor là giù pose a drittura:
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
l`occhio a la nostra redenzion futura;
ond`ei credette in quella, e non sofferse
da indi il puzzo più del paganesmo;
e riprendiene le genti perverse.
Quelle tre donne li fur per battesmo
che tu vedesti da la destra rota,
dinanzi al battezzar più d`un millesmo.
O predestinazion, quanto remota
è la radice tua da quelli aspetti
che la prima cagion non veggion tota!
E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar; ché noi, che Dio vedemo,
non conosciamo ancor tutti li eletti;
ed ènne dolce così fatto scemo,
perché il ben nostro in questo ben s`affina,
che quel che vole Iddio, e noi volemo».
Così da quella imagine divina,
per farmi chiara la mia corta vista,
data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda,
in che più di piacer lo canto acquista,
sì, mentre ch`e` parlò, sì mi ricorda
ch`io vidi le due luci benedette,
pur come batter d`occhi si concorda,
con le parole mover le fiammette.
Paradiso: Canto XXI
Già eran li occhi miei rifissi al volto
de la mia donna, e l`animo con essi,
e da ogne altro intento s`era tolto.
E quella non ridea; ma «S`io ridessi»,
mi cominciò, «tu ti faresti quale
fu Semelè quando di cener fessi;
ché la bellezza mia, che per le scale
de l`etterno palazzo più s`accende,
com`hai veduto, quanto più si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che `l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto `l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
Source
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