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Dante Alighieri - Paradiso (Italian)Dante Alighieri - Paradiso (Italian)
Language: ita
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nascere un lustro sopra quel che v`era, per guisa d`orizzonte che rischiari.  E come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, che la vista pare e non par vera,  parvemi novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l`altre due circunferenze.  Oh vero sfavillar del Santo Spiro! come si fece sùbito e candente a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!  Ma Beatrice bella e ridente mi si mostrò, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente.  Quindi ripreser li occhi miei virtute a rilevarsi; e vidimi translato sol con mia donna in più alta salute.  Ben m`accors`io ch`io era più levato, per l`affocato riso de la stella, che mi parea più roggio che l`usato.  Con tutto `l core e con quella favella ch`è una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella.  E non er`anco del mio petto essausto l`ardor del sacrificio, ch`io conobbi esso litare stato accetto e fausto;  ché con tanto lucore e tanto robbi m`apparvero splendor dentro a due raggi, ch`io dissi: «O Eliòs che li addobbi!».  Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ` poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;  sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo.  Qui vince la memoria mia lo `ngegno; ché quella croce lampeggiava Cristo, ch`io non so trovare essempro degno;  ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserà di quel ch`io lasso, vedendo in quell`albor balenar Cristo.  Di corno in corno e tra la cima e `l basso si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso:  così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d`i corpi, lunghe e corte,  moversi per lo raggio onde si lista talvolta l`ombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista.  E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa,  così da` lumi che m`apparinno s`accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l`inno.  Ben m`accors`io ch`elli era d`alte lode, però ch`a me venìa «Resurgi» e «Vinci» come a colui che non intende e ode.  Io m`innamorava tanto quinci, che `nfino a non fu alcuna cosa che mi legasse con dolci vinci.  Forse la mia parola par troppo osa, posponendo il piacer de li occhi belli, ne` quai mirando mio disio ha posa;  ma chi s`avvede che i vivi suggelli d`ogne bellezza più fanno più suso, e ch`io non m`era rivolto a quelli,  escusar puommi di quel ch`io m`accuso per escusarmi, e vedermi dir vero: ché `l piacer santo non è qui dischiuso,  perché si fa, montando, più sincero. Paradiso: Canto XV  Benigna volontade in che si liqua sempre l`amor che drittamente spira, come cupidità fa ne la iniqua,  silenzio puose a quella dolce lira, e fece quietar le sante corde che la destra del cielo allenta e tira.  Come saranno a` giusti preghi sorde quelle sustanze che, per darmi voglia ch`io le pregassi, a tacer fur concorde?  Bene è che sanza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri, etternalmente quello amor si spoglia.  Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or sùbito foco, movendo li occhi che stavan sicuri,  e pare stella che tramuti loco, se non che da la parte ond`e` s`accende nulla sen perde, ed esso dura poco:  tale dal corno che `n destro si stende a piè di quella croce corse un astro de la costellazion che resplende;  né si partì la gemma dal suo nastro, ma per la lista radial trascorse, che parve foco dietro ad alabastro.  Sì pia l`ombra d`Anchise si porse, se fede merta nostra maggior musa, quando in Eliso del figlio s`accorse.  «O sanguis meus, o superinfusa gratia Dei, sicut tibi cui bis unquam celi ianua reclusa?».  Così quel lume: ond`io m`attesi a lui; poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui;  ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, ch`io pensai co` miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso.  Indi, a udire e a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose, ch`io non lo `ntesi, parlò profondo;  né per elezion mi si nascose, ma per necessità, ché `l suo concetto al segno d`i mortal si soprapuose.  E quando l`arco de l`ardente affetto fu sfogato, che `l parlar discese inver` lo segno del nostro intelletto,  la prima cosa che per me s`intese, «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, che nel mio seme se` tanto cortese!».  E seguì: «Grato e lontano digiuno, tratto leggendo del magno volume du` non si muta mai bianco bruno,  solvuto hai, figlio, dentro a questo lume in ch`io ti parlo, mercè di colei ch`a l`alto volo ti vestì le piume.  Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch`è primo, così come raia da l`un, se si conosce, il cinque e `l sei;  e però ch`io mi sia e perch`io paia più gaudioso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia.  Tu credi `l vero; ché i minori e ` grandi di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi;  ma perché `l sacro amore in che io veglio con perpetua vista e che m`asseta di dolce disiar, s`adempia meglio,  la voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni `l disio, a che la mia risposta è già decreta!».  Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch`io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l`ali al voler mio.  Poi cominciai così: «L`affetto e `l senno, come la prima equalità v`apparse, d`un peso per ciascun di voi si fenno,  però che `l sol che v`allumò e arse, col caldo e con la luce è iguali, che tutte simiglianze sono scarse.  Ma voglia e argomento ne` mortali, per la cagion ch`a voi è manifesta, diversamente son pennuti in ali;  ond`io, che son mortal, mi sento in questa disagguaglianza, e però non ringrazio se non col core a la paterna festa.  Ben supplico io a te, vivo topazio che questa gioia preziosa ingemmi, perché mi facci del tuo nome sazio».  «O fronda mia in che io compiacemmi pur aspettando, io fui la tua radice»: cotal principio, rispondendo, femmi.  Poscia mi disse: «Quel da cui si dice tua cognazione e che cent`anni e piùe girato ha `l monte in la prima cornice,  mio figlio fu e tuo bisavol fue: ben si convien che la lunga fatica tu li raccorci con l`opere tue.  Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond`ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica.  Non avea catenella, non corona, non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona.  Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, che `l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura.  Non avea case di famiglia vòte; non v`era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che `n camera si puote.  Non era vinto ancora Montemalo dal vostro Uccellatoio, che, com`è vinto nel montar sù, così sarà nel calo.  Bellincion Berti vid`io andar cinto di cuoio e d`osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza `l viso dipinto;  e vidi quel d`i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio.  Oh fortunate! ciascuna era certa de la sua sepultura, e ancor nulla era per Francia nel letto diserta.  L`una vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava l`idioma che prima i padri e le madri trastulla;  l`altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia d`i Troiani, di Fiesole e di Roma.  Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.  A così riposato, a così bello viver di cittadini, a così fida cittadinanza, a così dolce ostello,  Maria mi diè, chiamata in alte grida; e ne l`antico vostro Batisteo insieme fui cristiano e Cacciaguida.  Moronto fu mio frate ed Eliseo; mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo.  Poi seguitai lo `mperador Currado; ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado.  Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa, per colpa d`i pastor, vostra giustizia.  Quivi fu` io da quella gente turpa disviluppato dal mondo fallace, lo cui amor molt`anime deturpa;  e venni dal martiro a questa pace». Paradiso: Canto XVI  O poca nostra nobiltà di sangue, se gloriar di te la gente fai qua giù dove l`affetto nostro langue,  mirabil cosa non mi sarà mai: ché dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai.  Ben se` tu manto che tosto raccorce: che, se non s`appon di in die, lo tempo va dintorno con le force.  Dal `voi` che prima a Roma s`offerie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie;  onde Beatrice, ch`era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio al primo fallo scritto di Ginevra.  Io cominciai: «Voi siete il padre mio; voi mi date a parlar tutta baldezza; voi mi levate sì, ch`i` son più ch`io.  Per tanti rivi s`empie d`allegrezza la mente mia, che di fa letizia perché può sostener che non si spezza.  Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra puerizia;  ditemi de l`ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni».  Come s`avviva a lo spirar d`i venti carbone in fiamma, così vid`io quella luce risplendere a` miei blandimenti;  e come a li occhi miei si più bella, così con voce più dolce e soave, ma non con questa moderna favella,  dissemi: «Da quel che fu detto `Ave` al parto in che mia madre, ch`è or santa, s`alleviò di me ond`era grave,  al suo Leon cinquecento cinquanta e trenta fiate venne questo foco a rinfiammarsi sotto la sua pianta.  Li antichi miei e io nacqui nel loco dove si truova pria l`ultimo sesto da quei che corre il vostro annual gioco.  Basti d`i miei maggiori udirne questo: chi ei si fosser e onde venner quivi, più è tacer che ragionare onesto.  Tutti color ch`a quel tempo eran ivi da poter arme tra Marte e `l Batista, eran il quinto di quei ch`or son vivi.  Ma la cittadinanza, ch`è or mista di Campi, di Certaldo e di Fegghine, pura vediesi ne l`ultimo artista.  Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch`io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine,  che averle dentro e sostener lo puzzo del villan d`Aguglion, di quel da Signa, che già per barattare ha l`occhio aguzzo!  Se la gente ch`al mondo più traligna non fosse stata a Cesare noverca, ma come madre a suo figlio benigna,  tal fatto è fiorentino e cambia e merca, che si sarebbe vòlto a Simifonti, dove andava l`avolo a la cerca;  sariesi Montemurlo ancor de` Conti; sarieno i Cerchi nel piovier d`Acone, e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.  Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade, come del vostro il cibo che s`appone;  e cieco toro più avaccio cade che cieco agnello; e molte volte taglia più e meglio una che le cinque spade.  Se tu riguardi Luni e Orbisaglia come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,  udir come le schiatte si disfanno non ti parrà nova cosa forte, poscia che le cittadi termine hanno.  Le vostre cose tutte hanno lor morte, come voi; ma celasi in alcuna che dura molto, e le vite son corte.  E come `l volger del ciel de la luna cuopre e discuopre i liti sanza posa, così fa di Fiorenza la Fortuna:  per che non dee parer mirabil cosa ciò ch`io dirò de li alti Fiorentini onde è la fama nel tempo nascosa.  Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, già nel calare, illustri cittadini;  e vidi così grandi come antichi, con quel de la Sannella, quel de l`Arca, e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.  Sovra la porta ch`al presente è carca di nova fellonia di tanto peso che tosto fia iattura de la barca,  erano i Ravignani, ond`è disceso il conte Guido e qualunque del nome de l`alto Bellincione ha poscia preso.  Quel de la Pressa sapeva già come regger si vuole, e avea Galigaio dorata in casa sua già l`elsa e `l pome.  Grand`era già la colonna del Vaio, Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci e Galli e quei ch`arrossan per lo staio.  Lo ceppo di che nacquero i Calfucci era già grande, e già eran tratti a le curule Sizii e Arrigucci.  Oh quali io vidi quei che son disfatti per lor superbia! e le palle de l`oro fiorian Fiorenza in tutt`i suoi gran fatti.  Così facieno i padri di coloro che, sempre che la vostra chiesa vaca, si fanno grassi stando a consistoro.  L`oltracotata schiatta che s`indraca dietro a chi fugge, e a chi mostra `l dente o ver la borsa, com`agnel si placa,  già venìa sù, ma di picciola gente; che non piacque ad Ubertin Donato che poi il suocero il lor parente.  Già era `l Caponsacco nel mercato disceso giù da Fiesole, e già era buon cittadino Giuda e Infangato.  Io dirò cosa incredibile e vera: nel picciol cerchio s`entrava per porta che si nomava da quei de la Pera.  Ciascun che de la bella insegna porta del gran barone il cui nome e `l cui pregio la festa di Tommaso riconforta,  da esso ebbe milizia e privilegio; avvegna che con popol si rauni oggi colui che la fascia col fregio.  Già eran Gualterotti e Importuni; e ancor saria Borgo più quieto, se di novi vicin fosser digiuni.  La casa di che nacque il vostro fleto, per lo giusto disdegno che v`ha morti, e puose fine al vostro viver lieto,  era onorata, essa e suoi consorti: o Buondelmonte, quanto mal fuggisti le nozze sue per li altrui conforti!  Molti sarebber lieti, che son tristi, se Dio t`avesse conceduto ad Ema la prima volta ch`a città venisti.  Ma conveniesi a quella pietra scema che guarda `l ponte, che Fiorenza fesse vittima ne la sua pace postrema.  Con queste genti, e con altre con esse, vid`io Fiorenza in fatto riposo, che non avea cagione onde piangesse:  con queste genti vid`io glorioso e giusto il popol suo, tanto che `l giglio non era ad asta mai posto a ritroso,  né per division fatto vermiglio». Paradiso: Canto XVII  Qual venne a Climené, per accertarsi di ciò ch`avea incontro a udito, quei ch`ancor fa li padri ai figli scarsi;  tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito.  Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch`ella esca segnata bene de la interna stampa;  non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t`ausi a dir la sete, che l`uom ti mesca».  «O cara piota mia che t`insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi,  così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti;  mentre ch`io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l`anime cura e discendendo nel mondo defunto,  dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch`io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura;  per che la voglia mia saria contenta d`intender qual fortuna mi s`appressa; ché saetta previsa vien più lenta».  Così diss`io a quella luce stessa che pria m`avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa.  Né per ambage, in che la gente folle già s`inviscava pria che fosse anciso l`Agnel di Dio che le peccata tolle,  ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso:  «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno:  necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende.  Da indi, come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s`apparecchia.  Qual si partio Ipolito d`Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene.  Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa dove Cristo tutto si merca.  La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa.  Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l`arco de lo essilio pria saetta.  Tu proverai come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e `l salir per l`altrui scale.  E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle;  che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr`a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n`avrà rossa la tempia.  Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; ch`a te fia bello averti fatta parte per te stesso.  Lo primo tuo refugio e `l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che `n su la scala porta il santo uccello;  ch`in te avrà benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo.  Con lui vedrai colui che `mpresso fue, nascendo, da questa stella forte, che notabili fier l`opere sue.  Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte;  ma pria che `l Guasco l`alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d`argento d`affanni.  Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, che ` suoi nemici non ne potran tener le lingue mute.  A lui t`aspetta e a` suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici;  e portera`ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente.  Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le `nsidie che dietro a pochi giri son nascose.  Non vo` però ch`a` tuoi vicini invidie, poscia che s`infutura la tua vita vie più che `l punir di lor perfidie».  Poi che, tacendo, si mostrò spedita l`anima santa di metter la trama in quella tela ch`io le porsi ordita,  io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama:  «Ben veggio, padre mio, come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch`è più grave a chi più s`abbandona;  per che di provedenza è buon ch`io m`armi, che, se loco m`è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi.  Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro,  e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s`io ridico, a molti fia sapor di forte agrume;  e s`io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico».  La luce in che rideva il mio tesoro ch`io trovai lì, si prima corusca, quale a raggio di sole specchio d`oro;  indi rispuose: «Coscienza fusca o de la propria o de l`altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca.  Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua vision fa manifesta; e lascia pur grattar dov`è la rogna.  Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta.  Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d`onor poco argomento.  Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l`anime che son di fama note,  che l`animo di quel ch`ode, non posa ferma fede per essempro ch`aia la sua radice incognita e ascosa,  né per altro argomento che non paia». Paradiso: Canto XVIII  Già si godeva solo del suo verbo quello specchio beato, e io gustava lo mio, temprando col dolce l`acerbo;  e quella donna ch`a Dio mi menava disse: «Muta pensier; pensa ch`i` sono presso a colui ch`ogne torto disgrava».  Io mi rivolsi a l`amoroso suono del mio conforto; e qual io allor vidi ne li occhi santi amor, qui l`abbandono:  non perch`io pur del mio parlar diffidi, ma per la mente che non può redire sovra tanto, s`altri non la guidi.  Tanto poss`io di quel punto ridire, che, rimirando lei, lo mio affetto libero fu da ogne altro disire,  fin che `l piacere etterno, che diretto raggiava in Beatrice, dal bel viso mi contentava col secondo aspetto.  Vincendo me col lume d`un sorriso, ella mi disse: «Volgiti e ascolta; ché non pur ne` miei occhi è paradiso».  Come si vede qui alcuna volta l`affetto ne la vista, s`elli è tanto, che da lui sia tutta l`anima tolta,  così nel fiammeggiar del folgór santo, a ch`io mi volsi, conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto.  El cominciò: «In questa quinta soglia de l`albero che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia,  spiriti son beati, che giù, prima che venissero al ciel, fuor di gran voce, ch`ogne musa ne sarebbe opima.  Però mira ne` corni de la croce: quello ch`io nomerò, farà l`atto che fa in nube il suo foco veloce».  Io vidi per la croce un lume tratto dal nomar Iosuè, com`el si feo; mi fu noto il dir prima che `l fatto.  E al nome de l`alto Macabeo vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo.  Così per Carlo Magno e per Orlando due ne seguì lo mio attento sguardo, com`occhio segue suo falcon volando.  Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo e `l duca Gottifredi la mia vista per quella croce, e Ruberto Guiscardo.  Indi, tra l`altre luci mota e mista, mostrommi l`alma che m`avea parlato qual era tra i cantor del cielo artista.  Io mi rivolsi dal mio destro lato per vedere in Beatrice il mio dovere, o per parlare o per atto, segnato;  e vidi le sue luci tanto mere, tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l`ultimo solere.  E come, per sentir più dilettanza bene operando, l`uom di giorno in giorno s`accorge che la sua virtute avanza,  sì m`accors`io che `l mio girare intorno col cielo insieme avea cresciuto l`arco, veggendo quel miracol più addorno.  E qual è `l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando `l volto suo si discarchi di vergogna il carco,  tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, per lo candor de la temprata stella sesta, che dentro a m`avea ricolto.  Io vidi in quella giovial facella lo sfavillar de l`amor che era, segnare a li occhi miei nostra favella.  E come augelli surti di rivera, quasi congratulando a lor pasture, fanno di or tonda or altra schiera,  sì dentro ai lumi sante creature volitando cantavano, e faciensi or D, or I, or L in sue figure.  Prima, cantando, a sua nota moviensi; poi, diventando l`un di questi segni, un poco s`arrestavano e taciensi.  O diva Pegasea che li `ngegni fai gloriosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ` regni,  illustrami di te, ch`io rilevi le lor figure com`io l`ho concette: paia tua possa in questi versi brevi!  Mostrarsi dunque in cinque volte sette vocali e consonanti; e io notai le parti sì, come mi parver dette.  `DILIGITE IUSTITIAM`, primai fur verbo e nome di tutto `l dipinto; `QUI IUDICATIS TERRAM`, fur sezzai.  Poscia ne l`emme del vocabol quinto rimasero ordinate; che Giove pareva argento d`oro distinto.  E vidi scendere altre luci dove era il colmo de l`emme, e quetarsi cantando, credo, il ben ch`a le move.  Poi, come nel percuoter d`i ciocchi arsi surgono innumerabili faville, onde li stolti sogliono agurarsi,  resurger parver quindi più di mille luci e salir, qual assai e qual poco, come `l sol che l`accende sortille;  e quietata ciascuna in suo loco, la testa e `l collo d`un`aguglia vidi rappresentare a quel distinto foco.  Quei che dipinge lì, non ha chi `l guidi; ma esso guida, e da lui si rammenta quella virtù ch`è forma per li nidi.  L`altra beatitudo, che contenta pareva prima d`ingigliarsi a l`emme, con poco moto seguitò la `mprenta.  O dolce stella, quali e quante gemme mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme!  Per ch`io prego la mente in che s`inizia tuo moto e tua virtute, che rimiri ond`esce il fummo che `l tuo raggio vizia;  sì ch`un`altra fiata omai s`adiri del comperare e vender dentro al templo che si murò di segni e di martìri.  O milizia del ciel cu` io contemplo, adora per color che sono in terra tutti sviati dietro al malo essemplo!  Già si solea con le spade far guerra; ma or si fa togliendo or qui or quivi lo pan che `l pio Padre a nessun serra.  Ma tu che sol per cancellare scrivi, pensa che Pietro e Paulo, che moriro per la vigna che guasti, ancor son vivi.  Ben puoi tu dire: «I` ho fermo `l disiro a colui che volle viver solo e che per salti fu tratto al martiro,  ch`io non conosco il pescator Polo». Paradiso: Canto XIX  Parea dinanzi a me con l`ali aperte la bella image che nel dolce frui liete facevan l`anime conserte;  parea ciascuna rubinetto in cui raggio di sole ardesse acceso, che ne` miei occhi rifrangesse lui.  E quel che mi convien ritrar testeso, non portò voce mai, scrisse incostro, fu per fantasia già mai compreso;  ch`io vidi e anche udi` parlar lo rostro, e sonar ne la voce e «io» e «mio», quand`era nel concetto e `noi` e `nostro`.  E cominciò: «Per esser giusto e pio son io qui essaltato a quella gloria che non si lascia vincere a disio;  e in terra lasciai la mia memoria fatta, che le genti malvage commendan lei, ma non seguon la storia».  Così un sol calor di molte brage si fa sentir, come di molti amori usciva solo un suon di quella image.  Ond`io appresso: «O perpetui fiori de l`etterna letizia, che pur uno parer mi fate tutti vostri odori,  solvetemi, spirando, il gran digiuno che lungamente m`ha tenuto in fame, non trovandoli in terra cibo alcuno.  Ben so io che, se `n cielo altro reame la divina giustizia fa suo specchio, che `l vostro non l`apprende con velame.  Sapete come attento io m`apparecchio ad ascoltar; sapete qual è quello dubbio che m`è digiun cotanto vecchio».  Quasi falcone ch`esce del cappello, move la testa e con l`ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello,  vid`io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi gaude.  Poi cominciò: «Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto,  non poté suo valor fare impresso in tutto l`universo, che `l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso.  E ciò fa certo che `l primo superbo, che fu la somma d`ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo;  e quinci appar ch`ogne minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine e con misura.  Dunque vostra veduta, che convene esser alcun de` raggi de la mente di che tutte le cose son ripiene,  non da sua natura esser possente tanto, che suo principio discerna molto di da quel che l`è parvente.  Però ne la giustizia sempiterna la vista che riceve il vostro mondo, com`occhio per lo mare, entro s`interna;  che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l`esser profondo.  Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenebra od ombra de la carne o suo veleno.  Assai t`è mo aperta la latebra che t`ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra;  ché tu dicevi: "Un uom nasce a la riva de l`Indo, e quivi non è chi ragioni di Cristo chi legga chi scriva;  e tutti suoi voleri e atti buoni sono, quanto ragione umana vede, sanza peccato in vita o in sermoni.  Muore non battezzato e sanza fede: ov`è questa giustizia che `l condanna? ov`è la colpa sua, se ei non crede?"  Or tu chi se`, che vuo` sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d`una spanna?  Certo a colui che meco s`assottiglia, se la Scrittura sovra voi non fosse, da dubitar sarebbe a maraviglia.  Oh terreni animali! oh menti grosse! La prima volontà, ch`è da buona, da sé, ch`è sommo ben, mai non si mosse.  Cotanto è giusto quanto a lei consuona: nullo creato bene a la tira, ma essa, radiando, lui cagiona».  Quale sovresso il nido si rigira poi c`ha pasciuti la cicogna i figli, e come quel ch`è pasto la rimira;  cotal si fece, e levai i cigli, la benedetta imagine, che l`ali movea sospinte da tanti consigli.  Roteando cantava, e dicea: «Quali son le mie note a te, che non le `ntendi, tal è il giudicio etterno a voi mortali».  Poi si quetaro quei lucenti incendi de lo Spirito Santo ancor nel segno che i Romani al mondo reverendi,  esso ricominciò: «A questo regno non salì mai chi non credette `n Cristo, pria poi ch`el si chiavasse al legno.  Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!", che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo;  e tai Cristian dannerà l`Etiòpe, quando si partiranno i due collegi, l`uno in etterno ricco e l`altro inòpe.  Che poran dir li Perse a` vostri regi, come vedranno quel volume aperto nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?  Lì si vedrà, tra l`opere d`Alberto, quella che tosto moverà la penna, per che `l regno di Praga fia diserto.  Lì si vedrà il duol che sovra Senna induce, falseggiando la moneta, quel che morrà di colpo di cotenna.  Lì si vedrà la superbia ch`asseta, che fa lo Scotto e l`Inghilese folle, che non può soffrir dentro a sua meta.  Vedrassi la lussuria e `l viver molle di quel di Spagna e di quel di Boemme, che mai valor non conobbe volle.  Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme segnata con un i la sua bontate, quando `l contrario segnerà un emme.  Vedrassi l`avarizia e la viltate di quei che guarda l`isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate;  e a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco.  E parranno a ciascun l`opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze.  E quel di Portogallo e di Norvegia si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia.  Oh beata Ungheria, se non si lascia più malmenare! e beata Navarra, se s`armasse del monte che la fascia!  E creder de` ciascun che già, per arra di questo, Niccosia e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra,  che dal fianco de l`altre non si scosta». Paradiso: Canto XX  Quando colui che tutto `l mondo alluma de l`emisperio nostro discende, che `l giorno d`ogne parte si consuma,  lo ciel, che sol di lui prima s`accende, subitamente si rifà parvente per molte luci, in che una risplende;  e questo atto del ciel mi venne a mente, come `l segno del mondo e de` suoi duci nel benedetto rostro fu tacente;  però che tutte quelle vive luci, vie più lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci.  O dolce amor che di riso t`ammanti, quanto parevi ardente in que` flailli, ch`avieno spirto sol di pensier santi!  Poscia che i cari e lucidi lapilli ond`io vidi ingemmato il sesto lume puoser silenzio a li angelici squilli,  udir mi parve un mormorar di fiume che scende chiaro giù di pietra in pietra, mostrando l`ubertà del suo cacume.  E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e com`al pertugio de la sampogna vento che penètra,  così, rimosso d`aspettare indugio, quel mormorar de l`aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio.  Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov`io le scrissi.  «La parte in me che vede e pate il sole ne l`aguglie mortali», incominciommi, «or fisamente riguardar si vole,  perché d`i fuochi ond`io figura fommi, quelli onde l`occhio in testa mi scintilla, e` di tutti lor gradi son li sommi.  Colui che luce in mezzo per pupilla, fu il cantor de lo Spirito Santo, che l`arca traslatò di villa in villa:  ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch`è altrettanto.  Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, colui che più al becco mi s`accosta, la vedovella consolò del figlio:  ora conosce quanto caro costa non seguir Cristo, per l`esperienza di questa dolce vita e de l`opposta.  E quel che segue in la circunferenza di che ragiono, per l`arco superno, morte indugiò per vera penitenza:  ora conosce che `l giudicio etterno non si trasmuta, quando degno preco fa crastino giù de l`odierno.  L`altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che mal frutto, per cedere al pastor si fece greco:  ora conosce come il mal dedutto dal suo bene operar non li è nocivo, avvegna che sia `l mondo indi distrutto.  E quel che vedi ne l`arco declivo, Guiglielmo fu, cui quella terra plora che piagne Carlo e Federigo vivo:  ora conosce come s`innamora lo ciel del giusto rege, e al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora.  Chi crederebbe giù nel mondo errante, che Rifeo Troiano in questo tondo fosse la quinta de le luci sante?  Ora conosce assai di quel che `l mondo veder non può de la divina grazia, ben che sua vista non discerna il fondo».  Quale allodetta che `n aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta de l`ultima dolcezza che la sazia,  tal mi sembiò l`imago de la `mprenta de l`etterno piacere, al cui disio ciascuna cosa qual ell`è diventa.  E avvegna ch`io fossi al dubbiar mio quasi vetro a lo color ch`el veste, tempo aspettar tacendo non patio,  ma de la bocca, «Che cose son queste?», mi pinse con la forza del suo peso: per ch`io di coruscar vidi gran feste.  Poi appresso, con l`occhio più acceso, lo benedetto segno mi rispuose per non tenermi in ammirar sospeso:  «Io veggio che tu credi queste cose perch`io le dico, ma non vedi come; che, se son credute, sono ascose.  Fai come quei che la cosa per nome apprende ben, ma la sua quiditate veder non può se altri non la prome.  Regnum celorum violenza pate da caldo amore e da viva speranza, che vince la divina volontate:  non a guisa che l`omo a l`om sobranza, ma vince lei perché vuole esser vinta, e, vinta, vince con sua beninanza.  La prima vita del ciglio e la quinta ti fa maravigliar, perché ne vedi la region de li angeli dipinta.  D`i corpi suoi non uscir, come credi, Gentili, ma Cristiani, in ferma fede quel d`i passuri e quel d`i passi piedi.  Ché l`una de lo `nferno, u` non si riede già mai a buon voler, tornò a l`ossa; e ciò di viva spene fu mercede:  di viva spene, che mise la possa ne` prieghi fatti a Dio per suscitarla, che potesse sua voglia esser mossa.  L`anima gloriosa onde si parla, tornata ne la carne, in che fu poco, credette in lui che potea aiutarla;  e credendo s`accese in tanto foco di vero amor, ch`a la morte seconda fu degna di venire a questo gioco.  L`altra, per grazia che da profonda fontana stilla, che mai creatura non pinse l`occhio infino a la prima onda,  tutto suo amor giù pose a drittura: per che, di grazia in grazia, Dio li aperse l`occhio a la nostra redenzion futura;  ond`ei credette in quella, e non sofferse da indi il puzzo più del paganesmo; e riprendiene le genti perverse.  Quelle tre donne li fur per battesmo che tu vedesti da la destra rota, dinanzi al battezzar più d`un millesmo.  O predestinazion, quanto remota è la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota!  E voi, mortali, tenetevi stretti a giudicar; ché noi, che Dio vedemo, non conosciamo ancor tutti li eletti;  ed ènne dolce così fatto scemo, perché il ben nostro in questo ben s`affina, che quel che vole Iddio, e noi volemo».  Così da quella imagine divina, per farmi chiara la mia corta vista, data mi fu soave medicina.  E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che più di piacer lo canto acquista,  sì, mentre ch`e` parlò, mi ricorda ch`io vidi le due luci benedette, pur come batter d`occhi si concorda,  con le parole mover le fiammette. Paradiso: Canto XXI  Già eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l`animo con essi, e da ogne altro intento s`era tolto.  E quella non ridea; ma «S`io ridessi», mi cominciò, «tu ti faresti quale fu Semelè quando di cener fessi;  ché la bellezza mia, che per le scale de l`etterno palazzo più s`accende, com`hai veduto, quanto più si sale,  se non si temperasse, tanto splende, che `l tuo mortal podere, al suo fulgore, sarebbe fronda che trono scoscende.  Noi sem levati al settimo splendore, che sotto `l petto del Leone ardente raggia mo misto giù del suo valore.  Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
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